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E’ tempo di liberare la parola (vegeto, ergo sum)
luglio 22nd, 2009 Posted 08:55
Questa vita addosso, è tutto quello che posso, quello che ho. Il sentiero dei nidi di ragno non l’ho mai percorso; ho paura non tanto dei ragni, piuttosto dei sentieri. “Piuttosto che” viene usato a sproposito, per accomunare cose equivalenti. In realtà indica una preferenza data a una cosa rispetto a un’altra. La cosa che mi affanna più di ogni altra è un poster raffigurante un uomo distinto a cui ho coperto gli occhi con la foto di un tramonto. L’alba più bella è quella che non si può vedere. Guarda dentro di te. La risposta che cerchi è dentro di te. Peccato che è sbagliata. Ha detto qualcuno. Ho deciso di eliminare il pensiero cartesiano. Prima del cogito, per l’essere, c’è il dubbio ma ancora prima c’è il fermarsi. Per rinforzarsi, crescere. Perciò l’origine è “vegeto, ergo sum”. L’Amleto mi evoca la morte. La risposta alla domanda da cento milioni di dollari è non lo so, perché questa vita non mi permette di interrogarmi sulle cose troppo profonde. Sant’Agostino usò queste parole in risposta a chi gli chiese cosa faceva Dio prima di creare il mondo. “Prepara l’inferno per quegli uomini che si interrogano sulle cose troppo profonde” . Così disse. O almeno credo. Che sia. Non sono all’altezza di morire. Devo vivere. “Se senti il dovere di fare una cosa, devi trovare il coraggio di farla”. L’ha detto la mamma di un noto politico al proprio figlio (questa l’ho sentita in tv) prima che fondasse il suo partito. Mi fa ridere questa cosa, eppure è serissima. Le cose che mi hanno meravigliato di più nella vita sono state quelle piccole e improvvise come una foglia che cade o il ritrovamento di poche parole che non ricordavo più di avere scritto. Lampi di follia, come li definirebbe Dostoyesky il cui nome è troppo difficile per scriverlo correttamente. Una volta ho raccolto un gatto vicino a un cassonetto e ho sperato che si trasformasse in un bambino. Piangeva. Le ultime lacrime che ho versato appartengono a una vita che non è più mia. Ci ho rinunciato per paura di non riuscire a sopportarne la bellezza. La bellezza reca in sé una brutalità primitiva ma non la avvertiamo quasi mai perché il nostro cuore non è puro. L’amore non è appannaggio degli uomini. Questi conoscono perlopiù le passioni che per loro natura passano.
Il tempo per me è circolare. La linearità della concezione moderna non mi tange e questo è il motivo per cui qualcuno mi interpreta come una presenza fuori dal tempo. Ho vissuto l’epoca del surrealismo e ne sono uscita indenne nonostante mi sforzi di fare finta che non sia successo.
I soldi, la fama e il potere non sono che concetti comodi e rassicuranti che associo all’insostenibile leggerezza del non essere. Montedidio è il libro più bello che ho letto e mi rammarico di non averlo scritto io. Per scrivere Montedidio avrei dovuto essere un’altra persona. Sicuramente migliore.
Quando il mio corpo si unisce a un altro corpo confluisco in un mondo parallelo dove non sempre riesco a portare l’anima dell’altro e allora la mia anima e il mio corpo si incontrano di nascosto per piangere insieme. Nessuno se ne accorge. Ho pensato a un quadro di Kandinsky. Si chiama il cavaliere azzurro e mi rappresenta. Avrei potuto essere una principessa o una pazza, poi un giorno qualunque sono salita in sella ad un cavallo alato perché era necessario combattere e così sono diventata un bellissimo cavaliere solitario. La strada su cui cammino è stretta e sterrata ma ho motivo di credere che sia quella giusta. Non credo nelle leggi del parlamento perché in tutte le cose cerco l’essenzialità. Una volta ho scritto una frase che non sarò mai in grado di spiegare. La frase è: ho ascoltato la Legge e i Profeti ma io conosco nell’oscurità interpretazioni diverse. E’ la prima volta che la condivido. In fondo, era ora che lo facessi. La bandiera dell’unicef che mi pende davanti agli occhi non ha diritto di sventolare finché ci saranno ancora bambini che muoiono di fame. Non a caso tra i versi più famosi dell’inferno di Dante c’è questo: Poscia, più che ‘l dolor poté ‘l digiuno. Che una mia amica confonde con quello della canzone ‘Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers’ di Fabrizio De André dove al dolore è sostituito l’onore.
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