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Silvia Castellani

Tra l'essere e il fare, c'è di mezzo il pensare

Archive for the ‘Senza categoria’ Category

Caro S. Ho fatto un sogno anch’io

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settembre 9th, 2008 Posted 22:45

Ho sognato che le persone avevano smesso di sognare poi ho sognato che quelle stesse persone senza i loro sogni si erano sgretolate. Ma anche da polvere continuavano a chiedersi fra di loro come era stato possibile che avessero perso la capacità di sognare.

Ho sognato che non c’era più ombra di cemento, che i bambini correvano scalzi sui prati senza paura di essere trafitti dalle siringhe. Che gli alberi erano alti e che c’erano adulti che si arrampicavano fino al cielo senza vergogna. Ho sognato che uno di questi uomini diceva agli altri che quella era la sua scalata al successo. Poi si è gettato dall’albero. E’ morto con il sorriso.

Ho sognato un circo dove gli animali facevano saltare nel cerchio infuocato gli uomini che invece di ribellarsi erano felici di gettarsi fra le fiamme. Ho provato a fermarli ma non mi hanno dato ascolto. Sono morti tutti e io sono rimasta sola.

Ho sognato che erano finite le scorte di amore e allora si ammazzavano i bambini perché, sentivo dire, sono esseri pieni d’amore. Mi sono messa a piangere. Era come se ammazzassero me.

Ho sognato un carro armato guidato da soldatini di carta. Puntavano il cannone contro le ballerine, finché una ballerina ha urlato : « tutto questo è un incubo »

Ho sognato un giradischi che suonava a vuoto. Era un trentatré giri che si ribellava al mondo perché voleva essere un trentun giri. Allora è arrivato il capo della musica. Si chiamava proprio così. Il capo della musica. Ha guardato il vinile e gli ha detto : non puoi scegliere cosa essere. Per te decido io. Io ero in quella stanza così ho chiesto al capo della musica : « e per te, chi cazzo decide ? » Poi ho preso il vinile e l’ho fatto girare a casa mia come voleva lui. Con trentun giri.

Ho sognato che ero in un ristorante vietnamita che mangiavo con dei serpenti sotto spirito vicino al tavolo. Siccome un mio commensale provava un immenso schifo, ho preso i serpenti e li ho gettati dalla finestra. Ci tenevo che  si gustasse la sua cena senza alcun elemento di disturbo. Poi però i serpenti si sono incazzati e ci hanno sfidati. Io non ci ho più visto e li ho fatti a pezzi.

Ho sognato l’interno della balena. C’era anche Pinocchio. Io ero il grillo. Solo che invece di parlare di Geppetto, ci siamo messi a giocare a strip poker. Noi e le sirene. L’unico corpo accettabile era il mio.

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Una frase emblematica

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settembre 4th, 2008 Posted 19:21

« La gente è pronta a fare i salti mortali se solo la fate sentire onnipotente.
E’ il martirio di San Me Stesso ».

Tratto da « Soffocare » di Chuck Palahniuk. Che, per chi non lo conosce, ha scritto e raggiunto il successo con « Fight Club ».

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Per il gatto con gli stivali

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settembre 3rd, 2008 Posted 01:25

Chi sono io. Sono una che si alza la mattina e le viene da scrivere. Sono una che inventa e ama vivere ciò che inventa. O viceversa. Sono un’anima che ha bisogno dell’Altro per avvertire la propria esistenza. Sono senza averi. E non mi interessa l’accumulo. Tutto ciò che mi serve, lo contengono le mie mani che danno voce ai miei pensieri di aria. Che diventano storie. Che ritornano aria.
Chi sei tu. Sei uno autonomo, quello che a me manca : fiducia e serenità. Sei quello che ascolta poco, ma comprende molto. Il contrario di me. Sei uno a cui piace parlare oltre misura. L’esagerazione di parole, in qualche modo, ci accomuna.
Chi sei tu. Sei uno che non racconta le cose importanti, quelle che fanno capire all’altro con chi ha a che fare. Ma tu, delle cose importanti, le hai mai vissute nell’arco dei tuoi trent’anni ? Una volta te l’ho chiesto e mi hai risposto che no, che grandi cose non ti erano successe. Quindi sei uno che ha avuto una vita tranquilla. E credo che ce l’avrà sempre.
Chi sono io. Sono una che dice una cosa ma ne pensa cento, altre volte ne dice cento tutte in fila, ma ne pensa una soltanto. Intensamente. Sono una fatta d’aria e di terra che cerca continuamente di avvicinarsi alla terra. Peccato che l’aria non sia d’accordo. Perciò mi ritrovo sovente con i pensieri in volo. Sono una che, arrivata a trent’anni, avrebbe deciso di mettere la testa a posto, al posto giusto, quello che ti impone i piedi per terra. Peccato che l’aria sia ovunque intorno a me, alla mia testa, ai miei piedi che camminano e che prima di toccare terra, ogni volta, tagliano l’aria che muove altra aria che muove altra aria. Che entra nei polmoni, che arriva al cervello. Che produce pensiero. Ecco i miei pensieri di aria. Che diventano storie. Che ritornano aria.
Chi sei tu. Sei uno che nella vita se ne è andato, si è staccato dal comodo guscio. Si è aperto una strada che ha sempre seguito aldilà del dubbio e della difficoltà. Il contrario di me che sono rimasta, che ho scelto di imboccare la strada sbagliata per convincermi di quella giusta. Troppo difficile per scegliere di percorrerla dall’inizio. Sono comoda io. Estremamente complicata. Chi sei tu. Uno che chiede molto, ma dà di più. Io invece do molto e chiedo l’impossibile. Non c’entra che sia donna. Tutto questo si chiama semplicemente essere stronzi. Una cosa che prescinde dall’essere maschio o femmina. Chi sei tu. Sei uno che il sesso. Anch’io. Sei uno che non ha ancora capito il mio potenziale grado di sofferenza interiore. Io potrei soffrire fino a morire. Ma questo concetto è troppo poetico per te che vivi di scienza. Ma non dimenticarti mai la frase di Georg Groddeck che dice che « vi sono problemi che la conoscenza non risolve. Un giorno riusciremo a capire che la scienza è soltanto una sorta di variazione della fantasia, una sua peculiarità, con tutti i vantaggi e i pericoli che la specialità comporta ». Chi sei tu. Sei uno che ha voglia di mettersi in gioco. Io anche. Sei uno un po’ distratto ancora. Non capisci sempre quando è il momento di abbracciarmi in silenzio. Ora che te l’ho detto farai così tanta attenzione al momento da diventare ancora più goffo di quanto già sei. Ma mi piaci anche per questo. Chi sei tu. Sei uno che non fa ridere. Mi fanno ridere le donne che dicono che amano gli uomini che le fanno ridere. Che si tengano pure tutti i clown che ci sono in circolazione. La scelta è imbarazzante. E bravo a chi l’ha capita. Io amo le persone tristi. Ritengo siano le più autentiche. Il punto è che tu non mi fai ridere, non mi fai piangere. E, allora, cosa fai ? Mi fai sentire amata. Forse è banale, ma è vero ed è una cosa importante. Adesso ce l’hai anche tu una cosa importante da raccontare. Chi siamo noi. Siamo due su cui potrei scrivere pagine e pagine e pagine ancora se non fosse che è notte e la mente è appesantita. Chi siamo. Noi.

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La prima idea

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settembre 1st, 2008 Posted 20:42

« La prima idea è quella giusta. Non la seconda, non quella che viene dopo, che sembra razionale e non è. La prima idea, Silvia, ricordatelo. E vedrai che presto succederà ». Me l’ha detto qualche ora fa una vecchia signora, un’insegnante. Non mi ricordavo chi fosse, lei sì. Si ricordava bene di me. Mi basta uscire di casa e succedono cose che sanno di profetico. Lo capisco perché quando la persona che mi sta parlando mi dice qualcosa di importante, qualcosa a cui devo prestare assoluta attenzione, mi vengono i brividi. Quelli belli, quelli che ti accarezzano.
« Cosa fai, Silvia, eh, cosa fai, ti sei laureata, sì, in cosa, eri una bambina perciò non ti ricordi di me e allora cosa fai, come stai, bene eh, vedo che stai bene, sì ». Quella vecchia era al di là dei miei pensieri. Invece di chiedermi come fanno tutte le vecchie nei primi tre minuti di conversazione, se mi ero sposata, questa mi guarda dritta in faccia, mi prende per un braccio e mi dice: « hai l’età giusta a vederti. Hai capito? E allora ricordati la prima idea. E’ quella che conta. »

La prima idea è scrivere. La prima idea è continuare a scrivere questo blog. La prima idea è continuare a scrivere questo blog per chiedere se qualcuno da qualche parte sta cercando un’autrice creativa. E’ un’idea fuori di testa. Ma è pur sempre la prima idea.

La vecchia ha detto ancora: « non fare come quella che voleva dire allibita e invece ha detto illibata. »

No. Non lo faccio. Ho preso la prima idea. E l’ho detta qui. Anche se è fuori di testa, lo so anch’io che è quella giusta.

SENZA TITOLO

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agosto 31st, 2008 Posted 15:32

“OGNI FORMA AUTENTICA D’ARTE E’, A SUO MODO, UNA VIA D’ACCESSO ALLA REALTA’ PIU’ PROFONDA DELL’UOMO E DEL MONDO. COME TALE, ESSA COSTITUISCE UN APPROCCIO MOLTO VALIDO ALL’ORIZZONTE DELLA FEDE, IN CUI LA VICENDA UMANA TROVA LA SUA INTERPRETAZIONE COMPIUTA”.

GIOVANNI PAOLO II

LETTERA AGLI ARTISTI

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Tu dormi

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agosto 30th, 2008 Posted 20:41

Tu dormi

Tu dormi e mi incanti
una specie di rito dei morti viventi.
Non mi senti non ti senti
Forse sogni
Il mistero dei segni
Quali mondi ?
Sono quelli rapiti dai canti della notte dei tempi
Tu dormi e mi tenti
quando guardo quel muoversi a stento fra un lenzuolo e un cuscino macchiato di miele traverso
Ti scopri
un sapore riempie la stanza
Tu dormi e mi avverti che io pure dormo
e cancello quel poco di notte sprecata a rincorrere
Il mio essere e il tuo avere
senso

Silvia Castellani

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Un treno da perdere

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agosto 29th, 2008 Posted 21:07

Ho un appuntamento alle 23. Un appuntamento alla stazione. Uno di quegli appuntamenti che speri che arrivino presto o mai più. Il fatto di dover attendere ancora un paio d’ore, mi inquieta. L’attesa è sempre inquietante. Credo che andrò alla stazione con largo anticipo e fumerò una decina di sigarette finchè non arriverà il mio treno. Quello che oggi sto aspettando. E così mi vengono in mente tutti i treni che ho perso e quelli che ho visto passare senza pensare a niente.

In questa giornata intensa, io sto aspettando per certo un treno. Quello delle 23. In questa giornata che mi ha fatto piangere, io ho un treno da prendere. In questa giornata che. Ho pianto. Non per me. Non piango mai per me. Ho pianto per una donna che si è sentita male, che mi ha chiesto aiuto e che continuava a scusarsi del suo star male. Era una tossica. Io non sapevo cosa fare nè tantomeno perchè fosse capitata sulla mia cattiva strada. Teneva gli occhi chiusi e se ne stava appoggiata ad un muro e poi ha pianto in silenzio e io. Io guardavo e pensavo e volevo urlare a tutti i passanti che erano degli stronzi di merda e se quella donna stava così, era colpa di tutti, era colpa mia, era colpa della vecchia grassona interessata solo alla sua fottuta spesa, era colpa del ragazzo in bicicletta che non ci passava, era colpa di chi, di cosa. Era colpa di quel cazzo di droga che circola e circola e circola e, se non stai attento, prima o poi ci caschi in pieno. Finchè ti ritrovi a piangere attaccato a un muro senza colla, che puoi crollare da un momento all’altro da solo come un cane, perchè alla gente non gliene frega niente di un cadavere in più o in meno da scavalcare. E stavo male, anch’io, davanti a quel muro, davanti a quella donna sul cui volto vedevo impressa la fatica di questa vita che ci portiamo addosso. E’ tutto quello che abbiamo. Sono quasi le 21. Forse dovrei farmi una doccia prima di andare ad aspettare il treno. Il mio treno quotidiano che oggi passa alle 23 in questa Riviera euforica dove se non stai attento, ti ritrovi attaccato a un muro a piangere per te e per tutti gli altri senza che nessuno ti guardi. Anche se ti vede.

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Solo per te… Pensieri d’amore-non amore ovvero d’amore. Perchè ogni amore che si rispetti deve fare i conti con il dubbio.

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agosto 26th, 2008 Posted 16:26

Io non lo so, chi c’ha ragione e chi no, ma una cosa ormai è certa : nella mia vita hai fatto il tuo ingresso. Cosa provo per te non lo so. So che un giorno passavo per quel locale in collina e ti ho parlato. Ci siamo scambiati qualche banalità. Cose di poco conto. E poi. Poi è successo qualcosa. E’ successo perché doveva succedere, perché ci dovevamo essere noi due, lì, quella sera, noi che dovevamo incontrarci.
Ti amo io ? No, non ti amo. Lo so, te l’ho detto. Te l’ho detto perché non avevo altro da dire, perché avevo voglia di sentirmelo dire, per tradire, forse, la mia solitudine. La mia voglia di condividere, il bisogno che è in me di sorridere a qualcuno che non sia uno specchio.
E adesso non lo so, chi c’ha ragione e chi no. Però so che sorrido quando il telefono suona e sei tu. Mi emoziono al pensiero di essere una volta in più il tuo pensiero. Un tuo pensiero.
Ti amo io ? No, credo di no. Non sento ancora la voglia di essere noi, ma poi accade che mi incanto all’improvviso a guardare un souvenir con impresso il tuo nome. Non avverto, per ora, quella smania di essere uno, il riassunto di due, la somma di te e di me. Poi ascolto una canzone, quella che mi hai regalato la sera del nostro primo incontro, che è senza titolo, perché ora che ci penso non esiste. Eppure io la sento, una canzone. Che mi parla di te.

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Pensieri sull’acqua

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agosto 26th, 2008 Posted 15:21

Non ricordavo di aver scritto delle cose in Puglia. Credo che l’emozione per la notte della Taranta mi abbia fatto dimenticare delle cose. Ora queste cose sono tornate a galla. Sistemando la valigia, ho trovato parole.
Scritti sul Gargano.

San Giovanni Rotondo e una consapevolezza : il male esiste solo per chi ne ha paura. Non sono sicura che questo valga per tutti. Per me vale. E’ ormai un sapere acquisito.

Del Gargano mi porterò via nella scatola dei ricordi : il troppo cibo tipico, l’ospitalità degli amici di Cagnano, il Castello di Peschici che non sono riuscita a visitare sebbene ci abbia ripetutamente provato. Le Tremiti che ho visto solo in fotografia. Ma era una fotografia tanto perfetta da scegliere di rinunciare a visitarle dal vivo.

Del Gargano, nella mia scatola dei ricordi, metterò anche : le « ville » di Cagnano e la grotta di San Michele Arcangelo. E poi, il lago Varano.
Sono scesa in acqua sul « sandalo » guidato da un ex pescatore, il padre di una cara amica. E’ un uomo di poche parole, ma se lo incontri non te lo puoi dimenticare. Non più giovane, fa poche cose, in maniera sentita e precisa. Una su tutte : pane e pomodoro, uno di quei cibi antichi che forse si mangiavano in tempo di guerra. Lui taglia la pagnotta del pane pugliese e poi ci spiaccica sopra i pomodori freschi della sua terra, quelli che coltiva nell’orto. Poco importa se la maglietta si imbratta. Il pane e pomodoro si fa così : con amore e vigore.

Il capitone

Il capitone mi fa senso. Anzi, mi fa schifo. Ma l’ho mangiato con riconoscenza, non foss’altro perchè è stato cucinato da chi mi ha aperto la porta di casa sua senza conoscermi. 40 gradi all’ombra e barbecue all’aria aperta. In strada. 40 gradi sulla strada. Per un capitone da servire all’ospite. Io. Così me lo sono mangiato, piena di buone intenzioni. Non ho cambiato idea : mi fa schifo. Ma ora è uno schifo riconoscente.

I pannoni

La mamma della mia amica è piuttosto robusta, ma altrettanto agile. Appena arrivata a Cagnano, mi ha organizzato una gita ai « pannoni » a ridosso del lago Varano. Una fatica della Madonna. Una fatica santa. Soprattutto dopo aver mangiato, appena scesa dal treno alle cinque del pomeriggio, mezzo chilo di orecchiette pugliesi e un altro mezzo chilo di melanzane ripiene all’uovo. Ho rischiato di morire sulle sponde del lago Varano, fra una grotta e l’altra dei pescatori. Sarei morta « sazia ». In tutti i sensi.

Mia sorella

Una resistenza stoica. In questo viaggio con me, ha cambiato all’istante, senza un solo accenno al lamento, le abitudini, i ritmi e forse anche i pensieri. Da anticapitalista, femminista ed ecologista, si è trasformata, dalla prima pedata in territorio pugliese, in « basista ». Punto. Ha fatto base al mio fianco, sempre e comunque.

Le case bucate

Cagnano ha un estensione per quasi 25mila abitanti. Ce ne sono 5mila a malapena. Forse meno. Pochi giovani. Eppure la tenacia dei vecchi non conosce ragioni : costruiscono case per nipoti e pronipoti. Tu arrivi a Cagnano e vedi ovunque case in costruzione. Case bucate, come le chiamo io. Perchè attraverso i buchi delle finestre vedi il vuoto dentro. Mi hanno spiegato che ci mettono gli anni a costruire quelle case. E non gliene frega niente del fatto che nipoti e pronipoti se ne sono andati via, in posti lontani, chi per studiare, chi per lavorare. E difficilmente ritorneranno.

Mia sorella 2

Oggi è il 20 agosto e mia sorella fa base accanto a me. Dorme. Qui in Puglia ha anche smesso di russare. Comincio a credere che in questa regione del « grande sud » accadono i miracoli.

« Volti » tratto da « Opera sull’acqua e altre poesie » di Erri De Luca.

Chi ha steso le braccia al largo
battendo le pinne dei piedi
gli occhi assorti nel buio del respiro,
chi si è immerso nel fondo di pupilla
di una cernia intanata
dimenticando l’aria, chi ha legato
all’albero una tela e ha combinato
la rotta e la deriva, chi ha remato
in piedi a legni lunghi : questi sanno
che le acque hanno volti.

E sopra i volti affiorano

burrasche, bonacce, correnti

e il salto dei pesci che sognano il volo.

La notte della Taranta 2008

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agosto 25th, 2008 Posted 16:00

Come fai a raccontare della notte della Taranta ?

Ce la fai. Basta iniziare col dire che lì a Melpignano c’erano più di 100mila persone. Basta continuare col dire che le persone non finivano mai e se volevi vedere un metro di terra, non potevi. Non riuscivi proprio a raggiungere quel metro deserto. Privo di un’anima viva. Perchè non c’era.

Ma come fai a raccontare bene la notte della Taranta ?

Perchè a volerla raccontare bene, devi parlare dell’atmosfera che si respirava lì, in quel paesino pugliese dove c’era gente da tutta Italia.
E allora, siccome non sono capace di descrivere tutto quel che c’era, quasi fosse questo un articolo giornalistico, decido di parlare di quello che non c’era e soprattutto di quello che io ho vissuto.

Non c’era resistenza alcuna fra cose e persone. Non c’era il sole, ma c’era una luce tale che avresti potuto anche vedere il mare.Non c’era vento, ma c’era un canto che ti accarezzava la pelle da farti sentire tu stesso parte del tutto. Di cielo e terra. Avevo un tamburello che continuavo a suonare con una resistenza che mi è parsa a un certo punto magica. Come fossi stata morsa da una forza vitale senza precedenti. Sentivo sopra la testa un movimento di arti come i miei che si muovevano ad un ritmo solo, senza che qualcuno incitasse nessuno a farlo. C’erano persone intorno a me che mi pareva di conoscere da sempre e che mi hanno assistita con le loro voci e i loro canti. Ho visto tutto e non ho visto niente. Il palco non l’ho nemmeno intravisto. Nemmeno i grandi schermi che riproducevano gli accadimenti degli artisti e delle loro esibizioni. Noi 100mila, lì in quella piazza senza fine, eravamo il vero accadimento. Sentivo l’acqua, di tanto in tanto, cadere sul mio corpo insieme alla birra e al vino. Qualcuno si accasciava a terra, ma io facevo resistenza perchè la stanchezza e l’ebbrezza non prendessero il sopravvento. Io volevo solo esserci. Io volevo solo ballare. Io volevo solo suonare il tamburello in direzione di un cielo stellato quale non avevo mai visto.

La notte della Taranta è stata una lunga notte. Me ne sono accorta quando ho iniziato a camminare dopo un tempo indecifrato verso la casa in cui avevo trovato alloggio. Me ne sono accorta perchè camminando ho visto che le mie ciabatte gialle, quelle che indosso per « avanzare » quando voglio vedere bene le cose, erano piene di polvere nera. Me ne sono accorta perchè ero tutta in una specie di trance che si è interrotta quando mi sono buttata sotto a una doccia gelata. Me ne sono accorta perchè quando ho raggiunto il letto, sentivo ancora la musica e facevo il gesto di suonare un tamburello. Me ne sono accorta, perchè prima di essere inghiottita dal buio del sonno, ho pensato : questa notte è stata una lunga notte. Una delle notti più lunghe e più belle della mia vita.