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Si vedono le nuvole perché riflettono le luci della città
luglio 1st, 2009 Posted 18:22
O viceversa. e insomma ieri sera eravamo un po’ storditi. così si è deciso di andare a fare una gita ma non si aveva voglia di camminare e la gita andava fatta proprio a due passi. andiamo a fare due passi due. ci siamo detti così, e dopo due minuti il tempo di due passi eravamo sul balcone, che in realtà è una buca come ha detto lui. lui ha detto che se era un bambino, avrebbe giocato a fare le guerre, in un bunker del genere, e avrebbe sparato alla canna fumaria. a stare stesi lì di fuori, in effetti, non è che si stesse poi così comodi. per terra sulla coperta, in non so quanti metri quadri ma davvero pochi, che stesi uno di fianco all’altra tra le piante e tutto, non ti giravi. allora guardando in alto, noi due abbiamo visto la carcassa della balena. c’erano gli spazi fra le ossa. era una lisca enorme. ho detto: questa era una balena spiaggiata che poi se ne è andata in cielo. e tra un osso e l’altro comparivano le stelle. e poi si è spostato tutto in cielo e non si è vista più una luce. solo nuvole. è successo lì che è nata la frase “si vedono le nuvole perché riflettono le luci della città”. ho risposto: “e allora a Bologna ci devono essere davvero tante luci di notte”. quando sono arrivate le altre forme del cielo, avevo già perso interesse e infatti cominciavo a fare i pensieri brutti, di quelli che li fai quando hai guardato troppe ore di tv, tipo che due fidanzati sono stati assassinati sul balcone di notte mentre guardavano le luci della città attraverso le nuvole o viceversa. e infatti ho smesso, ma per pensare all’avanzata delle cavallette. un’immagine mentale disgustosa che si ricollegava a qualche sera prima, quando una cavalletta si era nascosta dietro la salvia e mi aveva fatto una paura tremenda. oltre allo schifo. ma le cavallette sono anche una piaga della Bibbia. è uguale. dopo due minuti di assassinio e di cavallette mi ero davvero stancata, ho detto rientro che devo scrivere una cosa. e infatti.
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Vita numero tre: “Parla che ti passa”
giugno 27th, 2009 Posted 12:14
Sto vivendo una delle tante vite che compongono la mia unica vita e che si chiama « Parla che ti passa ». Credo sia la numero tre ed ho la sensazione che sia una bella vita non foss’altro perchè non mi mancano l’amore e i soldi. Già, anche i soldi. E l’ho specificato perchè hai voglia a parlare di due cuori e una capanna (nel mio caso, due cuori e un sottotetto di 35 metri quadri in centro, che d’affitto costa come un attico a montelupo) che dopo, se non ci sono due soldi per andare a mangiare una pizza fuori, ti « mangi » l’uno con l’altra. O forse, è la numero quattro. Di vita, intendo. Ma comunque poco importa, perchè ne dovrei vivere sette come i gatti, perciò ne passerà di acqua sotto ai ponti prima di emettere l’ultimo miao. Oggi viaggio per detti. Per vivere questa vita, oltre all’amore e ai soldi, mi occorrono : un computer, un telefono, un sorriso smaliante, qualche buon vestito e una certa dose di intelligenza. Quest’ultimo elemento non fa testo, perchè mi è occorso in passato e mi occorrerà in futuro. Senza falsa modestia, non è che mi debba sforzare troppo per essere intelligente. Il problema (altrui) è che in tutte le vite mi manca un ingrediente : la furbizia. Io non sono furba, non me ne frega niente di essere furba, non prendo esempio da nessuno per imparare ad essere furba. E da oggi in poi, gradirei che le persone evitassero di invitarmi ad essere furba. La volpe nelle favole è furba. Io, nella realtà, no. L’ingrediente che non è servito nelle vite precedenti, che spero serva in questa e che, in ogni caso, servirà per certo nelle vite future : l’onestà. Frenate gli eccessi di assenso o di dissenso. Non sono interessata a sorbirmi commenti idioti (che via sms immancabilmente mi arrivano) della serie « fai bene, prima o poi l’onestà paga » oppure « lascia stare che gli onesti se la prendono sempre in quel posto ». La mia onestà me la vivo da me. Con diplomazia. A prescindere dalle fregate che fino ad ora ho preso. Dai furbi. Che per me corrispondono ad animaletti simpatici e pelosi simili a topi. Qualcuno ne fece dei pupazzetti programmati con alcune parole standard. Dai, insomma, i furby. Ve li ricorderete senz’altro. Allora io ho incontrato questi furby programmati che, siccome sono carini in maniera esasperante, ti viene anche da fidarti e volergli bene e poi, strac, ti stroncano all’improvviso e si trovano un altro padrone lasciando te, come si suole elegantemente dire, nella merda. Perchè è così che succede ai furby, che hanno sempre bisogno di un nuovo padrone. Se fossero liberi, non sarebbero degli autentici furby. Ma torniamo alla mia terza vita per vivere la quale mi servono : un telefono, un sorriso smaliante, qualche buon vestito e una certa dose di intelligenza. Ingrediente jolly : tenacia. La tenacia ci vuole in tutte le vite e non è da confondersi con l’accanimento terapeutico. L’insistenza ha un limite che consiste nell’arrestarsi quando anche ad un bambino di dieci anni risulta evidente che la cosa che stai facendo non ha senso. Devo reclutare al più presto un bambino di dieci anni da portarmi appresso come consigliere. Questa cosa, forse, non ha senso. Aurevoir.
Tags: numero tre, parlare, passare, vita
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Passaggi di vite
giugno 19th, 2009 Posted 09:18
Un viticoltore mi ha chiesto se volevo essere contadina dell’anima sua. Voleva che lo facessi per puro fine scientifico. Mi ha scritto proprio così nella sua richiesta. Fine scientifico. Io non gli ho ancora risposto, eppure sono passati giorni da quando mi ha inoltrata la sua bizzarra richiesta telematica. Il fatto è che ho voglia di coltivare la mia anima di donna. Alla sua di uomo, penserò in un’ altra stagione. La salvia nel frattempo sta crescendo forte così pure la menta che ogni tanto mastico per ingannare l’amarezza che ho in bocca. E’ un esperimento, ormai l’ho capito, che non funziona granchè, perciò tra poco provvederò a farmi un mojto. Mischiata all’alcol quella stessa menta sarà tutta un’altra cosa. Un ferro da stiro si muove avanti e indietro tra sbuffi irritanti di vapore. Le faccende domestiche mi avviliscono. dalla prima all’ultima. compreso il cambio delle lenzuola. forse dovrei decidermi a cambiare l’intero letto. Il viticoltore mi ha chiesto se volevo fare la contadina. ma qui si tratta di prendersi cura di un’anima e non credo che la stagione in cui mi trovo sia la migliore per iniziare a lavorarci su. Guardo da lontano il ferro da stiro che sbuffa tra fumi stanchi. Sono come quel ferro da stiro. Per tacer dello scassone. Lo chiamo così “scassone” perchè fa un rumore insopportabile. E’ lamentoso tale e quale ai vecchi. Il viticoltore mi ha chiesto ripetutamente di essere contadina. Vuole che sia io a fare l’esperimento. Coltivare un’anima, la sua. In base al programma stilato dovrei seminare domande, aspettare qualche tempo e veder crescere le risposte, frutti dimenticati e marciti a suo dire per carenza di attenzione. Questa cosa mi inquieta. Bisogna che glielo dica che non è la stagione adatta. Adesso io sono impegnata con il mio, di raccolto. E siccome è meno del previsto, devo pure riseminare e riseminare bene e fare più attenzione alle perfide cavallette sempre in agguato. Cambierò le coltivazioni. Non ho altra scelta. Poi spruzzerò tutto di veleno. E’ necessario. Cose da fare: Dire di no al viticoltore. non me la sento. Come fare (allora) in base al programma: preparare un mojto, lasciare al loro destino le faccende domestiche, chiedere a mia volta al viticoltore di essere contadino dell’anima mia mia anima. Tutto ciò è scientifica follia. Maledetto scassone…
Tags: passaggi, vite, viticoltore
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Quel mare verde mela
giugno 16th, 2009 Posted 19:01
Ero in moto. Ero passeggera. Non era un sogno. Ero proprio lì, in aperta campagna che viaggiavo a cavalcioni di una moto che non ero io a guidare. C’era il sole ed era caldo. A un certo punto ho visto i colori. Un campo verde e una donna con un abito arancione. Le ho dato un nome. L’ho chiamata, tra me e me, la “donna del sole”. Chissà cosa ci faceva, tutta sola, di domenica, in mezzo a quel campo. Forse era andata a raccogliere delle erbe selvatiche, forse voleva solo passeggiare in mezzo a un mare verde. Ho pensato alla scatola di colori di quando ero bambina, ai colori da 36 dove c’era quella tonalità speciale di verde, che non c’era nella scatola da 24. Ho ritrovato il mio verde mela. Era una bella giornata. Io passavo sulla moto in corsa e ho visto la donna del sole. Ero in pace. Non dovevo convincere un mio simile a comprare qualcosa che non gli serviva, non dovevo ascoltare cazzate uscire dalla bocca di qualcuno per rispondergli certo, lei ha ragione, al posto di un degno « è ora che ti fai un esame di coscienza, fratello, che in giro come te ce ne sono a migliaia ». Non dovevo subire i racconti di persone che si credono speciali. Dovevo solo starmene seduta a guardare come la donna del sole attraversava il mio mare verde mela…
Tags: donna del sole, mare verde mela
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Cos’ho fatto nell’ultimo mese
maggio 26th, 2009 Posted 17:23
Premessa lampo : siccome la mia vita cambia a cadenza o come dir si voglia, scadenza mensile (quasi sempre indipendentemente dalla mia volontà) è bene che vi aggiorni. Anche perchè c’è gente che sento di tanto in tanto (ogni 2 mesi) che mi chiede come va quella cosa lì o quella cosa là e io non so manco di cosa sta parlando.
- ho cambiato lavoro. Sempre di comunicazione mi occupo.
- Il fidanzato è sempre quello e non ho intenzione di cambiarlo. Almeno per il prossimo anno. Poi mi deve chiedere di sposarlo quantomeno per educazione. Fra trentenni bisogna ragionare così, per pratiche di buona educazione appunto.
- Ho parlato con tante persone per telefono.
- Ho comprato un ventilatore da 15 euro, di quelli a gambo lungo. Come le rose. Ma senza profumo. Non posso permettermi un pinguino o un surrogato che climatizzi o condizioni. E allora vada per il ventilatore che muove l’aria inodore a destra e a manca e che, a dirla tutta, non mi dà troppo sollievo. Diciamolo pure, con le temperature che corrono, sarebbe stato meglio vincere un week in Alaska.
- Ho partecipato ad una gioia grande. Altrui. Ho avuto conferma che sono in grado di partecipare alle gioie altrui senza provare sentimenti sgradevoli come l’invidia. Con tutti i sentimenti negativi che ci sono in giro, permettetemi di andarne fiera.
- Ho constatato che le persone sono sole nel senso che si sentono sole. Però non lo ammettono perchè non fa figo dire di essere disperati. Io, nei miei primi trent’anni, mi sono sentita veramente sola almeno quattro volte. Le prime tre ho finto che non fosse vero, alla quarta ho accettato il fatto che negare un sentimento di solitudine aumenta solo la frustrazione. Perciò a chi si sente solo voglio dire che se la deve smettere di fare il figo che non serve a nessuno e che se trova il coraggio di mostrarsi, le cose possono solo migliorare.
- Continuo a subire questo caldo infernale. E’ successo che il caldo infernale mi ha suggerito la prova costume. Dovevo aspettarmelo. Per fortuna qui a Bologna non ho un costume. Meglio. Così evito la prova e le sue inevitabili drammatiche conseguenze.
- Ci possiamo girare intorno e raccontarcela. Resta il fatto che il futuro è oggi.
- Ho comprato un paio di scarpe. Avevo i piedi gonfi come due zampogne. Lo stesso ho provato quelle scarpe senza fare una piega. Con eleganza. La commessa, pur non richiesta, mi ha fatto uno sconto di 7 euro con la motivazione che le stavo simpatica. Forse perchè, incurante del laccetto alla caviglia che, causa gonfiore, non sarei riuscita ad allacciare nemmeno sotto tortura, ho commentato guardandomi allo specchio: le scarpe sono bellissime, il mio piede oggi fa incazzare di brutto, ma sono certa che dopo una doccia fredda, troveranno il giusto accordo.
- A volte aspetto che le cose cadano dal cielo. Dal cielo posso aspettarmi solo sole e pioggia. Me lo ripeto ogni giorno perchè è bene convincersi che le botte di fortuna non esistono. Esistono?
Tags: caviglie, educazione, fidanzato, lavoro
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Mi devo rassegnare: ho pochi neuroni
maggio 25th, 2009 Posted 17:00
Decido di fare un test. Uno di quei maledetti test di Facebook. Ogni volta mi dico che non li farò più, ma puntualmente ci casco. Allora questa volta ci sono andata giù pesante. Ho pensato : adesso ne faccio uno di quelli che hanno ad oggetto un argomento importante. Decido per quello del quoziente intellettivo. Che risultato ottengo ? Che sono un delfino giocherellone che ama saltare nei cerchi e fa grandi numeri. Penso soprattutto al fatto dei grandi numeri. Sul salto del cerchio ho qualche perplessità, anche se solo una settimana fa mi sono comprata un hula hop per assottigliarmi la vita. Magari chiedo ad un’amica se mi tiene l’hula hop in posizione, gli metto un po’ di fuoco intorno per coreografia e provo a saltarci dentro. Prediligo il fuoco all’acqua, lo trovo più spettacolare. Però i delfini saltano nell’aria e l’aria la preferisco al fuoco. D’accordo, il cerchio ce l’ho. Aria o fuoco, troverò il modo di saltarci attraverso. Dopo questi ragionamenti mi viene qualche dubbio sulla mia intelligenza delfiniana e allora, visto che me ne sto a girare in rete, posso pure informarmi meglio su questa intelligenza giocherellona. E scopro, stando a quanto sostenuto dal sudafricano Paul Manger che, per dirla con le mie parole, ho la testa grossa ma vuota. Molto tessuto, pochi neuroni. E’ una teoria rivoluzionaria questa, secondo cui ratti e pesci rossi mi metterebbero nel sacco in due minuti. Per fortuna che ci sono degli studiosi australiani che hanno fatto un sacco di complimenti alle delfine. Come dire, le donne di qualunque specie si distinguono sempre. Pare, infatti, che l’intelligenza delle delfine sia confermata dalla loro abilita’ di ‘chef’, nel preparare metodicamente le seppie per un pasto. In pratica fanno una serie complessa di manovre per eliminare inchiostro e osso dal mollusco. E in ogni caso, aggiungo io, questi saperi se li tramandano perchè le mamme delfine insegnano alle figlie il modo di staccare una spugna e di indossarla sul muso per proteggerlo quando sondano il fondo marino. Non si sa ancora se le madri insegnano alle figlie anche come preparare le seppie per un pasto. Però, gira e rigira, ste femmine sempre ai fornelli le vogliono vedere. Anche per dimostrarne l’intelligenza? No, si fa per dire. Tanto, se è la natura, non ci si fa niente. E’ molto caldo oggi. Credo che me ne andrò a bere un po’ di acqua Lete. Magari, mettendo il mio cervello in contatto con la particella di sodio, ragionerò meglio.
Tags: delfino, neuroni, rassegnazione
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Quotidianità
aprile 16th, 2009 Posted 20:27
ULTIMAMENTE PASSO LE GIORNATE A PRENDERE TRENI A PERDERE TRENI E AD ASPETTARE AUTOBUS A VOLTE PERDO ANCHE GLI AUTOBUS E DI CONSEGUENZA I TRENI MA STO FACENDO PROGRESSI STO IMPARANDO A FAR COMBACIARE LE COINCIDENZE PERCIO’ FRA POCO NON MI ATTACCHERO’ PIU’ AL TRAM NE’ AL TRENO FRA POCO SALTERO’ SU E GIU’ DAI MEZZI IN UN LAMPO E NESSUNO POTRA’ PIU’ DIRE DI AVERMI VISTA FERMA AD ASPETTARE STA ARRIVANDO UN AUTOBUS SONO LE 20.45 E ALLA MIA FERMATA C’E’ UN PROFUMO BUONISSIMO DOLCE E AVVOLGENTE UN AUTENTICO SOGNO CHE VA E VIENE VA E VIENE MA ANCHE QUANDO SPARISCE DI CERTO RITORNA MI E’ ENTRATO NELLE NARICI E COMPLICE IL RICORDO NON CREDO POTRO’ PIU’ PERDERLO STA ARRIVANDO UN AUTOBUS SONO LE 20.45 E ALLA MIA FERMATA C’E’ UN PROFUMO BUONISSIMO DOLCE E AVVOLGENTE STA ARRIVANDO UN AUTOBUS BISOGNA CHE MI DIA UNA CALMATA.
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Tre tappe per finire a scrivere di un problema idrico. Tuttosommato, credo.
aprile 15th, 2009 Posted 20:35
Sono le 20. Sono appena arrivata a casa. Sono fuori (di casa) da questa mattina alle 7. Quindi? Quindi niente. Volevo solo dire che adesso mi metto buona qui e fino a quando non ho finito con l’ultima parola non mi sposto di un millimetro. Non mi staccherò nè per cibo, nè per sesso, nè tantomeno per, diciamo questioni idriche. Stasera, digitare hic et nunc diventa una questione di principio. Ho iniziato alle 19 alla stazione di Modena e arrivo fino alla fine e cioè trascrivere tutto il papiro che ho postato sul mio taccuino.
Tappa numero 1.
Ho raggiunto quota 85 visite. Chissenefrega. Ne prendo solo atto. Non sono nemmeno più lusingata come a quota 57. Perchè i numeri non mi interessano. I numeri, di solito, interessano ai giornalisti e io, pur essendo, non mi sento propriamente tale. Io mi sento solo persona, una persona a cui, in verità, come direbbe Cristo, interessano: le storie umane, la poesia (non tutta), i sentimenti (soprattutto i miei), la musica e i colori. Se ci pensassi meglio e ancora un po’, mi verrebbe in mente altro fra cui, nello specifico dei sentimenti, il nervoso per essere qui a scrivere su un treno, peraltro immobile. E chissà quando potrò caricare queste parole sul blog. Che non ho tempo, come direbbe Tricarico nel bel mezzo del suo bosco di fragole. E quando uno non ha tempo o sente di non averlo per fare quello che gli appartiene, allora non va qualcosa per quella persona che non è un sembiante, un lavoro, un gusto, una rete di rapporti ma qualcosa d’altro che comprende questo tutto vitale e lo supera.
Tappa numero 2.
Come adesso che sono scesa dal treno che ha fatto anche oggi il suo viaggio di un giorno per aspettare un autobus. E sono in piedi alla fermata che scrivo e sembro matta più matta e penso che avevo scritto cose nei giorni scorsi, anche intelligenti, per esempio sul terremoto in Abruzzo e quelle cose non le ho pubblicate o non ancora pubblicate. E penso che avevo scritto cose nei mesi scorsi che non ho ancora pubblicato. E altre cose, negli anni scorsi che non ho o ancora. E allora che cazzo scrivo a fare ancora, cose che non avrò o non avrò ancora. Il tempo di pubblicare. In piedi, in quanto persona, sulla carta, sul marciapiede. Che aspetto il tempo. Mentre ascolto un vecchio (ultimamente ascolto vecchi e bambini) che dice “queste difficoltà di comunicazione” e mi tocca scendere dall’autobus per guardare il cielo e ascoltare anche un bambino e chiedermi alla fine: “siamo ancora in tanti a credere che solo i sogni sono reali o siamo ormai tutti troppo rassegnati a stare con la testa in direzione dell’asfalto?”
Tappa numero 3.
La trascrizione sopra che ora interrompo d’urgenza per forza di causa maggiore: problemi idrici delle 20.30.
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Io mi assolvo
aprile 5th, 2009 Posted 21:08
Oggi do un po’ i numeri. Succede. Oggi devo scrivere un altro post. Vorrà dire che saranno due in un giorno. Meglio per voi, che avete voglia di leggere. Il fatto è importante. Ho cominciato a perdonarmi. Lo trovo giusto. Trovo più costruttivo, sempre che riesca a portare avanti questa linea di condotta, essere magnanima con me stessa. Del resto, i miracoli non pertengono all’uomo. All’uomo si confà la “povera arte del possibile” e questa, da oggi, diventerà uno dei principi ispiratori della mia quotidianità. Perchè ho trascorso troppo tempo a rimuginare. A rimuginare, non so se rendo l’idea come vorrei. Immaginatevi uno con la testa bassa, un po’ sudaticcio, che si sfrega la fronte corrucciata. E allora, siccome il risultato delle cose, di tutte le cose, non dipende solo da noi, decido di lasciare il concetto di colpa così come quello di peccato, ai posteri o a coloro che amano flagellarsi speranzosi che, in tal modo, quelle cose, tutte le cose, possano cambiare. L’ho detto anche al prete, qualche tempo fa, mentre in confessionale mi chiedeva di fargli l’elenco dei miei peccati che a me, in fondo in fondo, delle grandi colpe, imputabili alla mia volontà, non mi venivano in mente. Alla fine, in preda a una sorta di panico perchè era impossibile che non trovavo i miei peccati, ho detto al prete che non consideravo peccato fare sesso col proprio compagno e/o masturbarsi. Il prete si è innervosito e del resto io mi sono decisamente impegnata a provocarlo. Così almeno, ho pensato, alla fine mi poteva dare l’assoluzione per quel peccato lì. Che era un peccato sicuro. E adesso, visto che con questo post ho la sensazione di aver bestemmiato, mi toccherà tornare a confessarmi.
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Un vecchio mi ha detto
aprile 5th, 2009 Posted 20:22
Un vecchio poco fa mi ha detto: “la libertà. non c’è niente che valga la libertà”. Gli volevo cedere il posto in autobus, a lui, o alla moglie. Mi sembravano sufficientemente anziani per il posto e io mi sembravo sufficientemente giovane per lasciarglielo come da regolamento, come da copione, come da mia sensibilità. Non l’hanno accettato. Il vecchio ha detto: lei ha lavorato e noi siamo in pensione. Era un vecchio sensibile. Di come ce ne sono pochi, ormai. L’avrei voluto come nonno. Non perchè i miei non siano andati bene. Anzi, sono andati benissimo e pace all’anima loro. Ma quel vecchio ha detto una parola, quella che da un po’ nessuno si era ricordato di dirmi: libertà. Non so quanto io sia libera, in realtà, ma so che scrivere mi illude di essere tale. E non parlo del lavoro di scrivere, parlo di quell’altra cosa, quella che è iniziata non so quando, quella che già da bambina avevo nella testa, quando inventavo le storie per le mie bambole. Quella cosa che anche se non riesci ancora a prendere una penna in mano, te la stampi tutta nel cervello fino a quando cresci e allora ce la fai a stamparla fuori, nero su bianco. La libertà, che cos’è. La libertà è essere e per quanto mi riguarda io so che ci sono, solo quando scrivo. Anche cose più intelligenti o interessanti di questa minchiata del vecchio che mi ha mandato in trip.
Tags: libertà, trip, vecchio
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