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Silvia Castellani

Tra l'essere e il fare, c'è di mezzo il pensare

Archive for the ‘Senza categoria’ Category

Quel problema delle arti visibili – omaggio ad Oscar Wilde

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settembre 15th, 2009 Posted 12:02

I segreti della vita e della morte e il movimento, quel problema delle arti visibili che non sanno apprezzare la parte che non fu scritta. Inutile non esprimere in aperta contraddizione il secolo scomposto e le proprie tendenze per essere non altro che creatura fisica. A che gioverebbero purezza e innocenza, per celare forse i nostri pensieri con un effetto stanco ? Oggi si ha l’ardire di intendere la speculazione una bestialità stupefacente dell’ottimismo.  E così le nostre anime nascono vecchie e dobbiamo sopravvivere a tutto. Ma non credo, io non credo nell’oltraggio alle leggi del mondo e ai labirinti che mangiano le consolazioni. Quando il moderno diverrà fuori moda, allora vedremo rappresentato il trionfo del tedio su cui concentreremo l’improbabile spettacolo del perduto. Oggi intanto si arredino le stanze con stranieri e romanzi  di giuda poichè la letteratura serve solo ad intensificare la propria voluttà. Che è molto più facile affermare le imitazioni dei principi decadenti che avere buoni segreti da custodire. Io, caro Oscar, sono sicura che se vivessi in mezzo a sciocchi malintesi, sarei più affascinante ma meno avvezza all’amore. E in questo amore, oggi, io voglio riposare e farlo tale a quale è stato in quella ricerca che non perdona al sognatore. Quando si è incoerenti, si diventa tragici ed esclusi da un altrove che ritiene la forma un indispensabile piacere della mancata essenza. Così i segreti della vita e della morte e il movimento, quel problema delle arti visibili, finisce per essere irrimediabilmente svelato come persona specchiata.Oscar Wilde

Lettera al bambino Frank intervistato nel documentario “D’Amore Si Vive” di S. Agosti. Perchè se io avessi tre miliardi comprerei la parola di quei potenti che si fanno ascoltare con la forza

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settembre 10th, 2009 Posted 19:34

Me ne ero completamente dimenticata, ma ci ha pensato il mio amico Fabio a ricordarmi le parole d’amore di Frank, il bambino intervistato nel documentario “D’Amore Si Vive” (1984) di Silvano Agosti. Ho riascoltato quelle parole, una volta in più e dalla prima all’ultima e poi ho scritto a Frank.

Vedi, Frank, non è possibile che un adulto vada per il mondo come un bambino facendosi scudo della sola sua purezza poiché ne morirebbe. Gesù, forse lo sai, si rivolgeva ai puri di cuore, ma il cuore di un adulto non è puro. Il mio cuore non è puro da tanto tempo, da quando ho iniziato a scoprire il mondo, da quando un altro essere umano, un bambino, gli ha insegnato quella malizia che tu rifiuti ma che possiedi altrimenti a nove anni non parleresti così. Come un adulto. Quella malizia te la insegna il vivere quotidiano, l’incontro con l’Altro che è un incontro inevitabile a meno che tu non voglia vivere sotto a una campana di vetro per sempre. E penso proprio che tu non vuoi. Io non ho mai pensato che i bambini non capissero le cose dei grandi, ma ho sempre pensato e ne sono convinta tutt’ora che i grandi si dimenticano troppo spesso della loro malizia di bambini. Che cos’è l’Amore, Frank? L’amore è ricordare, è tenersi stretti quei ricordi che ci hanno fatto gioire delle stupidaggini quando eravamo bambini. L’Amore è ricordare che da qualche parte, dentro di noi, non siamo mai voluti crescere. L’Amore non è capire l’importanza delle piccole cose forse, ma sentirne la bellezza quando un altro essere umano ce la ricorda. Se io avessi tre miliardi, Frank, non ci comprerei una casa con la piscina dove andare a fare l’amore. Se io avessi tre miliardi, comprerei la parola di quei potenti che a forza si fanno ascoltare perché, vedi, con ogni persona bisogna parlare un diverso linguaggio e se l’unico linguaggio che quelli comprendono è il denaro, io con quello stesso linguaggio parlerei loro per convincerli a pronunciare discorsi sull’Amore. Se vuoi, quei discorsi, puoi scriverli tu. Perché anche in mezzo alla guerra e alle bombeLe mani - foto di Silvia Castellani, ci sono dei cuori in ascolto che tengono stretti i ricordi buoni. E adesso, Frank, cosa ne facciamo dell’Amore, ora che siamo qui, che abbiamo parlato della mia malizia, cosa ne facciamo? Niente. Hai capito bene, Frank. Non ne facciamo niente. Tu continui ad andare a scuola anche se ti fa schifo e io continuo ad andare a lavorare anche se mi fa schifo. L’importante è che rimaniamo con i cuori in ascolto. Loro sanno la strada per resistere. Non te lo dimenticare.

Solo per te… Pensieri d’amore-non amore ovvero d’amore. Perchè ogni amore che si rispetti deve fare i conti con il dubbio

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settembre 5th, 2009 Posted 20:06

Io non lo so, chi c’ha ragione e chi no, ma una cosa ormai è certa : nella mia vita hai fatto il tuo ingresso. Cosa provo per te non lo so. So che un giorno passavo per quel locale in collina e ti ho parlato. Ci siamo scambiati qualche banalità. Cose di poco conto. E poi. Poi è successo qualcosa. E’ successo perchè doveva succedere, perchè ci dovevamo essere noi due, lì, quella sera, noi che dovevamo incontrarci. Ombres - foto di Silvia CastellaniTi amo io ? No, non ti amo. Lo so, te l’ho detto. Te l’ho detto perchè non avevo altro da dire, perchè avevo voglia di sentirmelo dire, per tradire, forse, la mia solitudine. La mia voglia di condividere, il bisogno che è in me di sorridere a qualcuno che non sia uno specchio.
E adesso non lo so, chi c’ha ragione e chi no. Però so che sorrido quando il telefono suona e sei tu. Mi emoziono al pensiero di essere una volta in più il tuo pensiero. Un tuo pensiero.
Ti amo io ? No, credo di no. Non sento ancora la voglia di essere noi, ma poi accade che mi incanto all’improvviso a guardare un souvenir con impresso il tuo nome. Non avverto, per ora, quella smania di essere uno, il riassunto di due, la somma di te e di me. Poi ascolto una canzone, quella che mi hai regalato la sera del nostro primo incontro, che è senza titolo, perchè ora che ci penso non esiste. Eppure io la sento, una canzone. Che mi parla di te e del tuo profumo.

Ti amo io ?

Quello che vedevo

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settembre 3rd, 2009 Posted 10:52

cappello a testa

Quello che vedevo erano le mie orme sulla sabbia, un triste andare incerto. Le orme erano più grandi dei miei piedi o almeno così io vedevo. Poi ho avvertito le onde del mare e mi sono distratta. Mi sono girata verso la spuma e ho voluto bagnare i miei piedi. Le orme no, non potevano essere toccate, erano più in alto. Non le raggiungeva la spuma. La spuma non le raggiungerà mai le mie orme, ho pensato. Mi chiedevo se davvero quelle fossero le mie orme. Non sembrava, ma di lì ero passata solo io. Quello che vedevo. Non vedevo nessuno a piedi davanti a me finchè ho visto una barca di legno giallo e blu e un vecchio anche, con il cappello in testa, seduto sulla barca. Non era proprio un vecchio, era un uomo di mezza età. Sembrava cattivo allora ho fatto finta di niente ma lui mi ha chiamata ed era l’imbrunire. Non ci vado, ho pensato a testa bassa. Non mi fido. Vieni qua, ha detto lui con gli occhi che io ho solo immaginato. Era il mio pensiero. L’uomo mi ha ordinato di sedermi davanti a lui, ai piedi della barca e ha detto “Io sono il tuo pensiero”. Io l’ho abbracciato anche se non lo conoscevo e poi abbiamo deciso di camminare insieme, ma non uno di fianco all’altra. Abbiamo deciso che lui avrebbe camminato davanti a me per aprirmi la strada e proteggermi e io l’avrei seguito ad occhi chiusi. Quello che vedevo. Poi dopo, quando ho chiuso gli occhi e non ho più visto, ho deciso che mi sarei fidata per sempre delle orme del mio Pensiero.

Tolleranza zero per i “parlatori sopra”

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agosto 11th, 2009 Posted 20:52

"Oche mute" - foto di Silvia CastellaniQuando parlo con le persone ipotizzo che vi sia un dialogo e mantengo un tono pacato che tanto è inutile urlare. Le persone non sono idiote, non tutte almeno e non completamente. Perciò non serve urlare. Soprattutto non serve anticipare e ancor più non serve pontificare sull’ovvio. Questa è la mia linea d’azione (perchè con i tempi che corrono una linea d’azione necesse est, sicut navigare) che mi piacerebbe fossimo in molti ad adottare. Ad oggi, devo concludere a malincuore che il dialogo è in disuso e il monologo impositivo è in auge. Che se proprio proprio una persona volesse fare un monologo e me lo comunicasse anzitempo, non ci sarebbe alcun problema. Vuole fare un monologo, un monologo impositivo? Prego, si accomodi. Si sentirebbe rispondere. Io faccio finta di ascoltarla. E siamo d’accordo nonchè entrambi felici. Non accade mai, questo. Accade, invece, che l’intenzione apparente è dialogare con toni pacati e poi… voilà: l’interlocutore parte a tradimento col monologo e te lo impone. A volte, addirittura, sfodera il monologo celebrativo. Perchè grazie a me, e perchè quando io ero lì, è perchè io sono Dio. Come direbbe il buon Faletti. E gli sfugge completamente di vista che il “lei non sa chi sono io” non importa a nessuno o, se importa, non alla sottoscritta che non ha padroni salvo il suo Dio. Dunque, credi e credenze a prescindere, si diceva di questi strani monologhi giù dal palco e a luci spente. Che questi attori improvvisati per le strade su cui tutti siamo costretti a camminare, possono suscitare in me solo compassione nel senso che soffro con loro. Questo non va bene. Perchè ho smesso con il masochismo. Così ne ho provati un po’ di metodi risolutivi che, c’era da aspettarselo, non funzionano. Potrei sì, ricorrere a quell’unico efficace, ma vorrei rimandare l’ingrata scelta perchè c’è sempre tempo per l’abbruttimento interiore. Ecco i metodi seguiti e puntualmente falliti:

1) pronunciare di tanto in tanto una vocale trascinata (aaaaaa, eeeeee, oooooo). La i e la u le ho sempre evitate. Mi pareva di essere rincoglionita io. Così pure non ho mai detto con euforia “accipicchia” che solo un reduce di guerra può pronunciare. In alternativa, pronunciare le parole “certo” e “ovvio” e “chiaro” o anche, addirittura “hai ragione” e pure “certo, hai ragione”. In quest’ultimo caso, non sempre sono riuscita a pronunciare tutte e tre le parole causa valanga – parlata-monologatore.

2) assecondare in silenzio il monologatore facendo sì sì con la testa e rimanendo con lo sguardo quagliato (occhi sbarrati come la quaglia quando si piglia paura)

3) trovare una scusa e dire che si deve entrare in riunione. Dove non importa. Anche un cesso va bene. Se si è al telefono, buttare giù. Che tanto ci si appella alla batteria scarica o ai soldi terminati.

Tutti questi metodi, per me, sono stati fallimentari. Mi hanno addirittura ricaricato il telefono per parlarmi. Ovvero, per parlare al vuoto.

C’è un quarto metodo, ma è pericoloso, anzi pericolosissimo perchè si rischia di imbattersi nei “parlatori sopra”. E non fatevi strane idee. Il “parlatore sopra” ho dedotto dopo attenti studi sociologici, è fatale perchè ti espone a rischio infarto e non me la sento di morire sotto il peso di un “parlatore sopra” perciò, per questi, da oggi, tolleranza zero. Perchè il monologatore non autorizzato passi, ma il “parlatore sopra” che implicitamente mi dà della cretina, no. Perchè il “parlatore sopra” non segue la sua strada chiusa, no, il “parlatore sopra” si riattiva di volta in volta, alzando i toni sempre di più, quando cerchi di fargli capire che hai capito, quando provi ad interrompere quella che già sai sarà una spiegazione che lui ti vuol fare, ma che tu conosci a priori. Appunto perchè non sei cretino. E hai voglia a dirgli “ho capito” o a riassumergli tu, in una frase, quello che sarà il suo  ovvio discorso. Il “parlatore sopra” si fa interrompere due barra tre secondi perchè ti sente (è ricettivo il bastardo, mica è un semplice monologatore impositivo!) e non vede l’ora di riprendere a parlare a voce più alta. Sopra la tua di voce. Ergo: boicottiamo i parlatori sopra. Offriamo loro con disinvoltura dell’acqua con del peperoncino per agevolarne l’ afonia. Necesse est. Sicut navigare.

Me stessa che ppalle! Mi voglio a piccole dosi

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agosto 6th, 2009 Posted 18:32

E io cucino! - foto di Silvia CastellaniSentimento del 6 agosto: mi sono stancata delle persone, me stessa compresa. Sottopensiero correlato all’atroce sentimento: Che ppalle me stessa! Argomentazione: Non mi sopporto più. E non sopporto più nemmeno gli altri. E hai voglia a fare il discorso accetta prima te stessa, quando avrai un bel rapporto con te stessa, starai bene anche con gli altri e via con il manualetto dell’autostima. Qui non c’entrano niente l’accettazione e l’autostima. IO CI STO BENE CON ME STESSA E STO BENE CON GLI ALTRI. MA A PICCOLE DOSI. E’ questo il punto. Stare con gli altri a piccole dosi. E anche con se stessi. Della serie: c’è un limite a tutto, anche all’autocompagnia forzata. Perchè (guardiamo in faccia la realtà) è da trentun anni che devo avere a che fare con me la media di 16 ore al giorno, tolte le otto che dormo e non sono cosciente. E anche lì, fatta eccezione per quando dormo per finta che sembra che dormo, ma invece sono in dormiveglia. Allora mi vengono in mente quei Cristiani talmente pieni di sè che si leccano il culo da soli e si accaniscono con gli altri e mi dico: “ma come è possibile?”. No, si fa per dire, perchè se ci credono davvero che sono dei supereroi e sono gli altri ad avere qualcosa che non va, c’è da preoccuparsi. L’importante è essere coscienti e non raccontarsela. Che ci si incazza con gli altri perchè si è incazzati con se stessi. E uno non può evitare di incazzarsi con se stesso. E’ anti-umano. Io la mattina mi guardo allo specchio e mi dico: “ancora tu Silvia, ma che ppalle! Adesso inizierai a dire che non hai voglia di andare a lavorare, poi che non ti va di pensare a cosa fare da mangiare e via. Dai, diciamocelo, la troppa confidenza smarona. Anche con se stessi. E qui veniamo ai “propri spazi”. Quando si dice a un fidanzato “ho bisogno dei miei spazi” è perchè, al di là delle motivazioni apportate più o meno discutibili, dopo un po’ a contatto con chiunque, un altro chiunque non ce la fa più. Prendiamo quando si va in vacanza. Due amiche amiche, vanno in vacanza insieme e sbottano. Per forza, al massimo con una persona ci potrai stare a contatto (ricettivo, non stiamo parlando del gomito a gomito muto tra scrivanie) un paio d’ore al giorno. E non può valere questo anche per me stessa? Dai, c’è poco da fare. Non mi sopporto più. Ho bisogno di una pausa da me. Allora stamattina, dopo essermi detta a voce alta che mi sono rotta le palle e non mi va più di stare in mia compagnia per qualche giorno, ho studiato di darmi del lei così magari prendo un po’ di auto-distanza e mi sembra di conoscermi di meno. Speriamo funzioni.

Il non essere all’altezza e l’uomo-grattacielo

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luglio 29th, 2009 Posted 20:26

foto di Silvia CastellaniForse è tutta una questione di centimentri. Nel senso di altezza. Non può essere diversamente che si giustifica la frase “ho incontrato gente che non è alla mia altezza” che, sulla sottoscritta che sfiora il metro e sessanta, è di difficile metabolizzazione. Preso per buono il significato ipotizzato, risulterebbe che io non sono mai all’altezza di nessuno e questa è  una conclusione che non mi piace. Così, visto che questa frase l’ho sentita pronunciare molte volte ma mai nessuno si prende la briga di argomentarla per bene, ho deciso, per sconfiggere l’atroce dubbio, di avviare un sondaggio. Oggi ho scelto la prima vittima, un uomo di mezza età a cui ho chiesto cosa esattamente intendesse con « ho incontrato gente che non è alla mia altezza ». Ha risposto che le donne che ha incontrato non erano alla sua altezza. In che senso? Ho chiesto, in quello che io incarno? In che senso? Ha richiesto lui. Così abbiamo perso i primi tre minuti ognuno dietro il senso altrui. Lui ha aggiunto “non mi meritano”. Bene. Non ti meritano. Perchè? Come perchè? fa lui. E abbiamo riperso altri tre minuti dietro agli inutili perchè. Finchè ho trovato la chiave. Hai sofferto molto? Sì. Quindi il non essere all’altezza non è una questione di centimetri (sempre in senso verticale verso il cielo) ma può avere a che fare con la sofferenza, con l’anima, con la coscienza. E di conseguenza, con una interessante teoria che mi è capitato di leggere qualche tempo fa. La teoria dice che gli uomini e le organizzazioni, che non sono altro che uomini in forma aggregata, possono essere rappresentati alla stregua di un grattacielo di cento piani dove ogni piano è un livello della coscienza e il livello è progressivamente più percettivo muovendosi dal basso verso l’alto. I soggetti cosa vedono? Vedono delle porzioni più o meno ampie del mondo in cui vivono. In pratica, chi si trova nella cantina vede appena se fuori piove o c’è il sole, chi sta ai primi piani vede soltanto, ma lo vede benissimo, il giardino che circonda l’edificio. Se si prende l’ascensore della progressiva consapevolezza, il giardino non si vede più, a mano a mano che  si sale, nella sua particolarità: si vede solo che esiste e che è una vistosa macchia verde, ma si può vedere cosa c’è al di là dello steccato che lo circonda e lo contiene, si vedono i campi e le colline e gli altri palazzi e le persone che passano per strada. I gruppi giovanili spesso stanno, per età e comodità, per carattere e per inconsapevolezza, a piani piuttosto bassi della loro coscienza e vedono bene solo ciò che è vicino al loro naso, il quotidiano, il contingente, vedono quello che hanno o che non hanno e non quello che potrebbero avere o potrebbero non avere più in un futuro anche prossimo. Occorre capire che, salendo, il mondo non cambia, ma cambia quello che nel mondo si può vedere. La domanda è : come farò io giovane e dal mio metro e sessanta scarso a riscoprire il valore di una visione lontana ? E, soprattutto, chi sarà la mia prossima vittima?

E’ tempo di liberare la parola (vegeto, ergo sum)

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luglio 22nd, 2009 Posted 08:55

"Pv" - foto di Silvia CastellaniQuesta vita addosso, è tutto quello che posso, quello che ho. Il sentiero dei nidi di ragno non l’ho mai percorso; ho paura non tanto dei ragni, piuttosto dei sentieri. “Piuttosto che” viene usato a sproposito, per accomunare cose equivalenti. In realtà indica una preferenza data a una cosa rispetto a un’altra. La cosa che mi affanna più di ogni altra è un poster raffigurante un uomo distinto a cui ho coperto gli occhi con la foto di un tramonto. L’alba più bella è quella che non si può vedere. Guarda dentro di te. La risposta che cerchi è dentro di te. Peccato che è sbagliata. Ha detto qualcuno. Ho deciso di eliminare il pensiero cartesiano. Prima del cogito, per l’essere, c’è il dubbio ma ancora prima c’è il fermarsi. Per rinforzarsi, crescere. Perciò l’origine è “vegeto, ergo sum”. L’Amleto mi evoca la morte. La risposta alla domanda da cento milioni di dollari è non lo so, perché questa vita non mi permette di interrogarmi sulle cose troppo profonde. Sant’Agostino usò queste parole in risposta a chi gli chiese cosa faceva Dio prima di creare il mondo. “Prepara l’inferno per quegli uomini che si interrogano sulle cose troppo profonde” . Così disse. O almeno credo. Che sia. Non sono all’altezza di morire. Devo vivere. “Se senti il dovere di fare una cosa, devi trovare il coraggio di farla”. L’ha detto la mamma di un noto politico al proprio figlio (questa l’ho sentita in tv) prima che fondasse il suo partito. Mi fa ridere questa cosa, eppure è serissima. Le cose che mi hanno meravigliato di più nella vita sono state quelle piccole e improvvise come una foglia che cade o il ritrovamento di poche parole che non ricordavo più di avere scritto. Lampi di follia, come li definirebbe Dostoyesky il cui nome è troppo difficile per scriverlo correttamente. Una volta ho raccolto un gatto vicino a un cassonetto e ho sperato che si trasformasse in un bambino. Piangeva. Le ultime lacrime che ho versato appartengono a una vita che non è più mia. Ci ho rinunciato per paura di non riuscire a sopportarne la bellezza. La bellezza reca in sé una brutalità primitiva ma non la avvertiamo quasi mai perché il nostro cuore non è puro. L’amore non è appannaggio degli uomini. Questi conoscono perlopiù le passioni che per loro natura passano.
Il tempo per me è circolare. La linearità della concezione moderna non mi tange e questo è il motivo per cui qualcuno mi interpreta come una presenza fuori dal tempo. Ho vissuto l’epoca del surrealismo e ne sono uscita indenne nonostante mi sforzi di fare finta che non sia successo.
I soldi, la fama e il potere non sono che concetti comodi e rassicuranti che associo all’insostenibile leggerezza del non essere. Montedidio è il libro più bello che ho letto e mi rammarico di non averlo scritto io. Per scrivere Montedidio avrei dovuto essere un’altra persona. Sicuramente migliore.
Quando il mio corpo si unisce a un altro corpo confluisco in un mondo parallelo dove non sempre riesco a portare l’anima dell’altro e allora la mia anima e il mio corpo si incontrano di nascosto per piangere insieme. Nessuno se ne accorge. Ho pensato a un quadro di Kandinsky. Si chiama il cavaliere azzurro e mi rappresenta. Avrei potuto essere una principessa o una pazza, poi un giorno qualunque sono salita in sella ad un cavallo alato perché era necessario combattere e così sono diventata un bellissimo cavaliere solitario. La strada su cui cammino è stretta e sterrata ma ho motivo di credere che sia quella giusta. Non credo nelle leggi del parlamento perché in tutte le cose cerco l’essenzialità. Una volta ho scritto una frase che non sarò mai in grado di spiegare. La frase è: ho ascoltato la Legge e i Profeti ma io conosco nell’oscurità interpretazioni diverse. E’ la prima volta che la condivido. In fondo, era ora che lo facessi. La bandiera dell’unicef che mi pende davanti agli occhi non ha diritto di sventolare finché ci saranno ancora bambini che muoiono di fame. Non a caso tra i versi più famosi dell’inferno di Dante c’è questo: Poscia, più che ‘l dolor poté ‘l digiuno. Che una mia amica confonde con quello della canzone ‘Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers’ di Fabrizio De André dove al dolore è sostituito l’onore.

Sui colli bolognesi, ho scritto con la mente

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luglio 17th, 2009 Posted 11:16

Ieri notte. Sui  colli. Io e l’altro sulla ducati di lui. Avrei preferito la vespa, ma c’era la ducati e sia. Allora io quando vado in moto bisogna che da adesso in poi mi organizzi, che così non si può continuare. Mi porterei pure dietro il mio piccolo registratore portatile, ma come si fa, come si fa? Se con le mani mi devo tenere per non morire catapultata chissà dove, con il registratore ci faccio poco. Magari prendo un auricolare "Un viaggio" - foto di Silvia Castellanio l’armamentario da intercettazione investigativa. Mi pare meno ingombrante. Attualmente funziona che devo scrivere con la mente. E mentre sono lì che viaggio in senso fisico e spazio temporale, mi vengono un sacco di frasi belle. Ieri notte sulla moto ho scritto due pagine che ovviamente già non esistono più, perchè quando la moto si ferma, si cancellano di colpo i pensieri. Una volta un poeta mi ha detto che devo scrivere in viaggio. Non credo intendesse esattamente su due ruote. Cosa intendi, esattamente? Avrei dovuto chiedergli all’epoca dei fatti quando me lo comunicò, come fanno i venditori nelle loro migliori trattative commerciali. Così si diceva che scrivo con la mente, mentre vado, mentre c’è solo l’aria intorno a me, mentre non si può parlare. In quei momenti entro nella nothing box, nella scatola del nulla che sembra appartenga solo agli uomini ma che anch’io, per fortuna, posso raggiungere. Avete presente la scatola del nulla? Quando le donne chiedono agli uomini, magari a letto, cosa stai pensando? Fatela finita. Rassegnatevi al fatto che non pensano a nulla. O giù di lì. Che secondo me non sarei stato male come uomo, e infatti il complimento più bello che mi ha fatto un ragazzo con cui sono uscita è stato ti amo perchè sei molto uomo. Ah, ti amo me l’hanno detto una ventina di persone. Ma sulla facilità del dire ti amo ne parliamo un’altra volta. Adesso parliamo del gagà dei colli bolognesi che ho incontratto appunto sulla moto mentre stavo scrivendo con la mente. Questo rallenta, fa segno di accostare. La moto si ferma. Addio pensieri. Questo chiede : « scusate, il nonno?» «era comunista, ma non c’è più, purtroppo» stavo per dire al berlusconiano di turno, ma quel sant’uomo del mio fidanzato mi ha preceduta : «un po’ più in giù lungo la strada e lo trovi”. Ma sarà modo di chiedere un’informazione? Dimmi che è un ristorante, per la Madonna. A quel punto non  mi restava altro da fare che riprendere la corsa e il viaggio senza più pensieri, solo a godermi il panorama, con la chiesa di San Luca bellissima, di notte, illuminata a giallo e arancio da parere una cartolina stampata nel cielo. Ho concluso che mi serviva anche una macchina fotografica.

Associazione libera e inutile di questa bella sera estiva…

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luglio 8th, 2009 Posted 21:47

"cielo di rosablu"foto di Silvia CastellaniC’è un destino scritto per ognuno di noi, un viaggio da attraversare, una strada da intraprendere, da percorrere. Non è quasi mai quella sognata, quella sperata. E tuttavia, quando hai creduto che potesse esserci un appiglio, uno spiraglio nel vuoto di quel cielo perso che qualcuno ti ha mostrato per sbaglio, allora sì, potrai dire che la tua vita non è stata un brutto sogno. Ma un mistero che si è svelato all’improvviso, proprio quando quel sorriso insperato è arrivato e nel profondo ti ha toccato. Quel cuore specchio infranto di pensieri abbandonati alla corrente trascinatrice di una cattiva sorte. Solo nell’incanto di un momento fatto di sguardi inespressi e lontani, sentirai l’abbraccio che a lungo hai cercato senza provare calore. E così questa vita, l’unica possibile, mi ricorda ogni giorno quel destino scritto che non si può cambiare senza coraggio. Di rischiare per un mondo migliore, per un canto in coro che si leva solo, ma così forte da fare eco nei secoli. Se avessi solo immaginato il potere della fantasia, avrei intrapreso il mio viaggio molto prima quando la speranza era una parola scritta fra milioni di parole e il cielo, forse, era più chiaro. Veggente.