Archive for the ‘Senza categoria’ Category
La mia collana
novembre 24th, 2009 Posted 12:21
La mia collana è una canzone di Paolo Conte. E’ libertà e perline colorate.
La mia collana è confusione che riflette i cristalli
E’ l’allegria di una sbornia
La mia collana non c’entra niente ma si adatta a tutto
La mia collana è bellissima e pesa quanto una piuma. Leggera, mi solletica e mi fa ridere.
La mia collana ascolta il vento che passa e il sole che bussa
E’ la collana più bella che io abbia mai visto.
Tags: la mia collana, libertà, perline colorate
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“Le nostre rose” – piccolo omaggio a Sibilla Aleramo e Dino Campana
novembre 12th, 2009 Posted 13:32
Ho visto il film « Un viaggio chiamato amore », poi mi sono documentata sui protagonisti, Sibilla Aleramo e Dino Campana, che ebbero una travagliata relazione sentimentale, messa a nudo nelle lettere che la scrittrice e il poeta si scambiarono tra il 1916 e il 1918. La vita di Dino Campana è caratterizzata dal « male oscuro » ed è scandita da ricoveri in manicomio. Ho immaginato e ancora ho immaginato e mi sono immedesimata fino a scrivere questa pagina, questa lettera immaginaria, un libero omaggio, seppur misero me ne rendo conto, ai due grandi poeti e al loro immenso Amore. Nonostante la sua pochezza, voglio condividerla, qui, adesso, con voi…
Cercavamo le rose. Le cercavamo insieme. Erano le mie rose e le tue rose. Poi ci siamo dimenticati le rose perché non erano le nostre. Erano solo le mie e le tue rose. Chiamavamo il nostro viaggio col nome amore. Nessuno si amava come noi. Pochissimi nella storia che ci ha preceduti si amavano come noi. Sono mesi che non ho tue notizie, che non ti vedo più comparire nei pressi della casa dove vivo.
Ogni tanto avverto la tua presenza vicina. Ma sono tracce, soltanto tracce che ti nascondono alla mia presenza. Se fossi rimasta al tuo fianco, te ne saresti andato comunque presto ed io avrei perso quel poco che avevo, quel poco che mi è rimasto e spero di convertire in opere di bene. Quello che è rimasto è il frutto di quel grande amore, di quel viaggio insieme che è stato e non ha potuto essere ancora, perché di fronte alle cose troppo grandi e alle distanze troppo lunghe, avverti l’infinito e scappi per non impazzire. Ma impazzirai lo stesso, amore, perché così è scritto nel tuo destino. Siamo solo pedine in mano all’Alto anche se ci sforziamo di decidere le sorti della partita. L’abilità è una sciocca tenda da cui filtra in trasparenza la natura vera che ci compone. Carne e ossa. Si muovono per un po’ dentro a mura che noi stessi ci siamo costruiti all’intorno. Le convenzioni sociali che ci illudono di una protezione di gomma che ci fa rimbalzare riportandoci al centro dove prima eravamo. La paura è quella di non innamorarsi più perché l’intensità cieca di un sentimento incontrollabile è un pericolo che pochi possono raccontare ed è meglio che l’esperienza estatica non si ripeta. Ma la natura che ci tiene per la gola spinge a desiderare quella riproduzione di suoni e colori senza pari. Sono stata invitata ad una riunione sugli psichiatrizzati. Sento che avrò presto la possibilità di andare contro al sistema, di denunciare le falle sanitarie della salute mentale. C’è stato un giorno in cui io ho potuto scegliere. Ci sono stati giorni in cui altri non hanno potuto fare la stessa scelta e si sono ritrovati legati a letti, stretti da cinghie di cuoio. Matti. Da legare. Non chiedo mai soldi a nessuno. Mi bastano un abito liso e scarpe buone e resistenti. Per il resto so che il mio Dio, il tuo Dio, provvederà ai miei bisogni primari. La mia fede non mi abbandona, non più ed è da quella forza che ora il mio spirito trae nutrimento. Non vado a letto con nessuno, da tanto tempo. Non succede perché non amo. Dubito che potrò nuovamente amare nel senso che noi conosciamo. Quello che ci faceva cercare insieme le rose disperatamente. Quelle rose che non abbiamo potuto trovare ma che hanno permesso a me di vivere per sempre.
Ti saluto, amore mio, perché la testa è stanca e non ragiona più bene.
Sibilla
Tags: Dino Campana, lettera d'amore, omaggio, poesia, Sibilla Aleramo, un viaggio chiamato amore
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Santa Silvia (un anno dopo)
novembre 3rd, 2009 Posted 19:08
Questa mattina alle sette sono uscita per andarmi a sedere su una panca. E da seduta pensavo che i bambini si dovevano vergognare di certi loro adulti perchè mi venivano in mente, guardando certe facce adulte di uomini sofferenti ma a tempo e per finta, altre facce adulte e indistinte di uomini assassini, stupratori, pedofili, maniaci sessuali. Uno schifo dello schifo. E poi è passato lui che camminava da sfilata. E ho fatto basta di pensare a tutte le storie del mondo che sento sempre mie per uno strano scherzo del destino che mi obbliga a immedesimarmi nelle facce altrui. Un po’ come Novecento, il pianista sull’Oceano, che guarda quelli che passano sulla nave dove vive. Lui guarda le persone, le loro facce e immagina cose, vite, storie. Che poi si mette a suonare. E’ passato lui che camminava da sfilata. Il giubbotto blu con le bande arancioni e i basettoni fino a terra. Lui aveva un modo di camminare tecnico e anche la testa era riuscito a meccanizzare. Lui guardava tutti nella sala d’attesa e anche me che mi veniva da applaudire perchè il suo camminare era un entusiasmo che si notava. Poi mi sono ricordata di Santa Silvia che ero anche io, perchè tutte le Silvie, volendo, il 3 novembre sono sante da calendario. Basta ricordarselo e dirlo a qualcuno. Soprattutto se si vuole una sorpresa. E io, una sorpresa, stamattina alle sette, la volevo molto. Senti – gli ho detto – oggi è Santa Silvia, lo sapevi? Lui dice no, non lo sapevo e poi capisce che voglio una sorpresa. Lo capisce perchè lo guardo fisso con la faccia da sorpresa, quella furbo-turbo-infantile che dice tutto. Vuoi una borsa? chiede lui. Una borsa sì. Una borsa va bene, così ci posso mettere dentro le mie cose e anche qualche bambino da salvare. L’acqua calda non credo. Per quella ci vuole una borsa speciale che mi dimentico sempre di comprare. Poi siamo usciti insieme dalla sala d’aspetto e siamo andati a comprare una borsa impermeabile. Ho scelto quella impermeabile perchè stamattina pioveva e non volevo mi si rovinasse subito. Una cosa tipo i capelli quando vai dalla parrucchiera e hai la messa in piega che ti si rovina subito se si bagna. E la mia borsa nuova doveva arrivare a casa perfetta. Adesso sono qui con la mia borsa impermeabile, che oggi ho fatto tante cose e tante ne ho pensate e mi chiedo in questo stesso giorno, l’anno scorso, dov’ero. Ero sempre a Bologna, ospite in un’altra casa, che volevo comprare una birra e il motto del giorno era: “dura lex, sed lex”. E che cosa è cambiato, cosa c’è di diverso nella mia faccia? Sono cambiate tante cose, ma ancora non riesco ad accorgermene. Mi accorgo meglio delle storie che leggo in faccia alle persone che incrocio per strada. La mia faccia, io non posso leggerla, nemmeno davanti a uno specchio. Forse perchè la guardo ogni giorno e la confidenza ti tiene nascoste le cose migliori. Adesso non mi rimane altro da fare che andarmi a comprare una birra per festeggiare insieme al nonno che non c’è più a cui, ieri, ho regalato un intero servizio fotografico sulla campagna dal titolo:
“I Cachi. Principalmente”.
Tags: facce altrui, l'anno dopo, Santa Silvia
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Il ricordo e la visione (solo per menti robuste)
ottobre 28th, 2009 Posted 16:18
Prima è stato un ricordo di quando ero bambina. Non so quanti anni avessi di preciso, ma non più di quattro o cinque. Uscivo in strada, sul marciapiede, e mi arrampicavo sul palo della luce di fronte a quella bottega che adesso non c’è più. Uscivo in strada, dicevo mamma vado a colorare sui gradini e appena elusa la sorveglianza, iniziavo ad arrampicarmi. Dovevo arrivare in alto, in cima. Dovevo toccare la palla illuminata. All’imbrunire. Sì, era l’imbrunire e io uscivo con la scusa di colorare o giocare alle bambole. E invece, volevo salire in alto e vedere le cose dall’alto. La strada dall’alto, la bottega dall’alto. Volevo vedere bene e sentire il senso di vertigine, dopo aver toccato la cima più alta possibile, la grande palla illuminata. Ero una bambina matta con pensieri matti e che ora sono ancora quelli di allora. Ricordo che facevo fatica fino a metà scalata poi, superata la metà o poco più, era un attimo. Non mi importava di venire scoperta e rimproverata. Io dovevo solo salire.
Su questo ricordo della mia infanzia mi sono addormentata.
Dopo un po’, un’ora forse, mi sono svegliata e ho iniziato a vedere ad occhi aperti. Piangevo.
Guardavo il soffitto e piangevo per quello che vedevo.
Ho visto una barca, piccola, in mezzo al mare e me su quella barca ad avere paura e a remare per arrivare alla mèta che era lontana ed era una spiaggia e un uomo ad attendermi sorridendo. io non procedevo e l’acqua era fatta di parole o forse piovevano dal cielo lascrime di persone e le parole. non andavo avanti. cosa c’è chiedeva qualcuno. io una barca e parole e lacrime dal cielo ma deve piovere di più dicevo, le persone devono piangere se voglio arrivare presto a casa. poi arrivavo e dicevo all’uomo sorridendo hai visto quante parole ma sono tornata. e invece non era così, quella era la speranza della visione che era ferma nel mare e io avevo paura così la voce ha detto tu ci puoi camminare su quel mare, non posso dico io, sì, tu puoi e alla terza volta, io piangevo, sono scesa sul mare di carta e ho iniziato a camminare. e c’erano persone ed ero felice ma solo un attimo. Gesù, ho visto Gesù vicino a me vestito di bianco e qualcuno ha chiesto chi c’è, ci sono tutti ho detto io, ci sono… tutti, tutte le persone che mi hanno accompagnato per un pezzo della mia vita. c’è un bambino ? dì, c’è un bambino ? un bambino? chiedo io, non so, poi cerco. e c’è un bambino. c’è perchè io voglio vederlo ed è biondo, chi è, forse, sì è. però so che è morto dunque se è morto sono morta anch’io. voglio riprendere il viaggio e Gesù, parliamo col pensiero, me lo permette. starei bene forse, lì in quel posto ma voglio vivere. lo dico tre volte voglio vivere e riprendo la barca ormeggiata. sono di nuovo in mare. non vedo più niente all’orizzonte, non piove. Il viaggio è lungo e devo avere pazienza. il mare ora è vita. mi dice.
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Le persone che ho incontrato. Alcune persone.
ottobre 22nd, 2009 Posted 19:25
Le persone che ho incontrato e non mi hanno chiesto niente, sono quelle che mi hanno dato di più. Alcune hanno domandato e io non sempre ho loro risposto. Questo è stato un grave errore. Che ha a che fare con l’orgoglio di credersi migliori di altri.
La risposta data a me e che mi è piaciuta di più, me l’ha data un’amica. Avevo chiesto : cosa farebbe secondo te un uomo, se gli chiedessi di sposarlo? Mi ha risposto : si butterebbe dalla finestra alla velocità con cui scappa una bambola gonfiabile se la mordi sul culo. Ho riso per giorni. La domanda peggiore che io abbia mai rivolto ad anima viva, invece, è stata : quanto mi ami da uno a dieci ? Peggio della telefonata della ragazzina della tim in quelle vecchie pubblicità che non si possono dimenticare per i tormentoni che sono andate creando nel tempo. E, infatti, la telefonata che mi ha davvero allungato la vita, non l’ho ancora fatta e nemmeno l’ho ricevuta. Le persone che più mi hanno deluso sono state quelle da cui mi aspettavo qualcosa di diverso da quello che sono riuscite a darmi. O hanno voluto darmi. Chissà perchè, poi, io mi aspettavo una data cosa piuttosto che un’altra. Le persone che mi hanno meravigliato di più sono quelle che sono riuscite a perdonarmi nonostante io abbia fatto di tutto perchè mi condannassero in eterno. Ho pensato fossero masochiste, ho capito che sono semplicemente più forti di me e di molti altri che ci ostiniamo ad imporre la nostra debolezza con l’arroganza. Le persone che più ho amato non so dire che fine abbiano fatto. Con queste persone ci siamo persi strada facendo, senza chiederci nulla, ma solo dicendoci arrivederci. A una di queste persone, ho addirittura regalato una cassettina audio con incisa la canzone, da me interpretata, « arrivederci amore ciao » sottotitolo « le nubi sono già più in là ». Ero solo una ragazzina assai robusta e dunque apparentemente ben piantata a terra, ma già avvertivo in me la mia vocazione pindarica e raminga. Sento che sono loro le persone che ho amato di più, perchè il ricordo le rende perfette anche se so che non lo sono. Ma un conto è sapere, un altro è ricordare. Il ricordo è sempre traditore e io, inguaribile romantica, amo essere tradita dai ricordi. Cavallo, tigre, mucca, pecora, maiale. Delle persone, una sera, mi hanno chiesto di ordinare su un foglio bianco queste cinque parole che una volta ordinate mi avrebbero fatto capire le priorità della mia vita, dalla più alla meno importante. Al primo posto ho scritto cavallo. Pare che corrisponda alla famiglia. Non ero d’accordo. Abbiamo litigato. Le persone che mi avevano chiesto di fare il gioco erano, per me, persone di famiglia. L’unica consolazione è che ho messo il maiale alias denaro all’ultimo posto. E a proposito di verdoni e mirabolanti oggetti verdi : posso venire a prenderti in mutande verdi ? Direi di sì. Fa più decadente. Mi ha chiesto e si è subito risposta l’amica della bambola gonfiabile. Ammiro chi riesce a rispondersi in anteprima. Trovo che sia spontaneo e la spontaneità è rara come un sorriso sincero e come questa frase che mi ha dedicato una grande anima poetica perchè continuassi a ripetermela come un karma : tieniti lontana dalla luce dove la bellezza trova pace.
Tags: bambola gonfiabile, ciuffi, domande e risposte, le persone che ho incontrato
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Vita numero quattro : “chi cerca e sa cosa cerca, prima o poi, trova. Io cerco l’abito perfetto, poichè l’abito fa il monaco. Altrimenti la piadina non si vestirebbe da Hello Kitty”
ottobre 12th, 2009 Posted 22:50
Bisogna vedere cosa uno cerca. Ho abbandonato la mia vita numero tre perchè era come un vestito che più guardavo, meno mi sentivo addosso. Qualcuno ha provato a rassicurarmi dicendomi che stavo bene, che quel vestito, in qualche modo, esaltava alcune delle mie forme. Ma io non ho creduto a quanti mi dicevano così perchè, se il vestito mi si addice secondo il gusto altrui, allora quel vestito per me è sbagliato. Un grande uomo ha detto che bisogna sempre lasciare il certo per l’incerto. Aggiungo che lo stesso abbandono deve applicarsi al comodo per l’incomodo. Dunque, tradotto, il tailleur non fa per me. Sulla scorta della consapevolezza che è meglio uno struzzo ripieno tra un paio di giorni piuttosto che una gallina domani o un uovo oggi, ho deciso, una volta in più, di svestirmi di un ruolo, di una maschera e dunque di un abito che a qualcun altro calzeranno di certo a pennello, per ritornare alla ricerca della mia prossima vita che non tarderà a manifestarsi perchè chi cerca, trova. L’importante è sapere cosa si cerca. Cosa cerco io. Cerco un abito nuovo, possibilmente costruito su misura, perchè ognuno ha le sue forme che non si possono adattare ad un vestito in serie. E’ il vestito che deve adattarsi alla persona di modo che questa, sentendosi a pieno nei suoi panni, possa figurare al meglio. Cerco un posto speciale in cui poter mostrare il mio vestito esclusivo in modo che altre persone, vedendomi, si innamorino dell’individualità che forse credono perduta. Cerco un vecchio sarto, di quelli che, di vestiti, tanti ne hanno creati, che sappia consigliarmi con la sua esperienza e la sua arte. Non cerco saldi, sconti, offerte. Conosco il valore di un abito unico. E il prezzo inevitabile dell’attesa. E mentre riappendo, nell’armadio zeppo di vestiti, il tailleur dentro al quale ho dispensato consigli per gli acquisti, io già lo vedo, il mio vestito nuovo, colorato d’oro e in stile barocco.
Tags: abito perfetto, chi cerca trova, oro, stile barocco
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Mon ami, non ami
ottobre 9th, 2009 Posted 15:51
Non ami e ti disperi come puoi sotto questo velo
come puoi
Stiri le braccia e ti schiarisci la voce che tace bloccata su corde incapaci di vibrare
Non ami e ti domandi se sei ancora capace
Cuci la tua bocca mentre aghi sottilissimi ti trafiggono il cuore
Quella promessa ormai non vale
E allora vienimi a cercare
Perchè piove sai
Che è stata l’acqua a farci incontrare
E poi asciuga i miei capelli che illuminati dal nuovo sole ci porteranno fortuna
Ancora stringi il mio amuleto ed esprimi un desiderio che sappia di Natale
Non amo e mi ricordo come un film ormai andato che i miei colori non sono più vivaci
Apparecchio una tavola per me solo con un minestrone che sa di tristezza e mancata voluttà
Non amo e aspetto un ehi che poi, lo so, diventerà un bye bye
Accendo musica e sigaretta insieme senza accorgermi che la canzone parla di una vita come tante lasciata andare in fumo.
E allora vienimi a cercare
Perchè piove sai
Che è stata l’acqua a farci innamorare
ps: ho ritrovato un pezzo di carta con questi antichi pensieri. non so nulla di poesia, perciò, perchè all’epoca, li scrissi così, in questa esatta disposizione in cui li ho riportati? Non importa saperlo. Importa averli ritrovati. Anzi il contrario. Perchè ho la netta sensazione che siano stati loro a ritrovare me. Io, a frugare in quel cassetto, non ci volevo andare
Tags: mon ami, non ami, non amo, periodo rosa
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Breve trattato sulla paura (per coloro che hanno paura, ma anche per coloro che non ne hanno. Così possono « sentire » chi ce l’ha). Parte prima : considerazioni in generale e trattative personali in corso. La seconda parte del trattato è probabile, conoscendomi, che non vedrà mai la luce
ottobre 1st, 2009 Posted 17:02
E’ una lotta impari, una guerra che non si può combattere, quella contro la paura che immobilizza i cuori e anche i pensieri. Una guerra di sole vittime dove chi vince è soltanto il senso di sconfitta e frustrazione generale. Quella paura che ogni giorno vedo negli occhi di tanti miei simili che sorridono di circostanza, ma dentro muiono. E allora è più facile coalizzarsi, foss’anche in piccoli gruppi che in realtà sono branchi perchè la logica che sta alla base e muove quell’unione di forza maggiore, è ancora la paura. Così si inizia a parlare tutti uguali, oppure modellandosi sull’esempio del più forte, di quello che si riconosce essere capo. Per paura di essere esclusi, derisi, di essere uno, soltanto, un numero. Che ha paura dell’indifferenza nei suoi confronti, chè ha osato ribellarsi all’ordine costituito dal branco e alla legge del più forte. Io, di gruppi, intorno a me, ne vedo pochi. Vedo troppi branchi, piccoli e grandi branchi che hanno paura della giungla in cui devono vivere o, peggio, sopravvivere. E io, per mia disgrazia, pur avendo paura, sono fuori dalle logiche del branco chè non ho niente da prendere e dunque da perdere. E se fosse il contrario, fingo di dimenticarmene. Non cerco consensi, quando li ho mi rammarico e mi preoccupo perchè so bene che il branco come la massa è fatale, ti eleva in cielo e ti ributta negli inferi nel tempo di un battito d’ali. La massa, il popolo, ti possono salvare o uccidere. Ti applaudono o ti fischiano a seconda del momento, di quel primissimo momento, ogni volta che ti esponi, in cui qualcuno ha urlato alla vita o, viceversa, alla morte. In quel primo momento devi avere fortuna di qualcuno che nella massa urla alla vita. Allora vivi. Altrimenti muori. E questa è la diretta. Poi, quando si dice in tv che il pubblico è intelligente, si dice una gran cazzata. Non è il pubblico ad essere intelligente. Sono le persone che fanno parte del pubblico (quello da casa, per intenderci) ad essere intelligenti. Quando devono dare il loro giudizio, e non sono in salotto con altri, ma sole, allora è lì, in quel preciso istante che devono essere coraggiose. E il coraggio, che non è mancanza assoluta di paura, ma consapevolezza che esiste qualcosa di più importante della paura) si mostra più spesso nella solitudine. Il coraggio in pubblico, ovvero in presenza d’altri, io l’ho visto così poche volte che mi bastano le dita di una mano per farne conto. E quando l’ho visto, ho avuto paura. E così, si diceva, c’è un solo attimo, quello del « voto » e se sei coraggioso, scegli davvero. Io, come « voto » me stessa ovvero, soprattutto, come valuto gli altri ? Non li « voto », non li calcolo, appunto. Poi, quando mi trovo sola ma con uno, quell’uno qualunque numero, di cui prima si diceva, lo guardo negli occhi e lo ascolto oppure lo leggo. Ma non in senso letterale. Perchè le parole possono mentire, ma l’essenza dell’individuo che si nasconde tra le righe del parlato o dello scritto, non la puoi controllare. Quella sola è la verità. E quella, se rivelata all’altro uno qualunque, potrà salvarci da tutta questa paura che ci ha invaso l’anima. Ed eccomi allora, una qualunque, abituata ad essere esclusa e derisa, non mii esimo da me. E questa paura che è nata con me, che ogni giorno andando per le strade cerco di esorcizzare, mi segue come un’antica maledizione che non se la smette di richiamarmi a sè e all’ordine costituito. Avere paura della paura. Questo è il mio saggio destino, ma non la mia scelta di coraggio che mi porta a lottare, in ogni attimo che respiro, contro quell’ombra oscura che si diverte a fiaccarmi lo spirito. Forse, dovrei decidermi a parlarci, con questo bene minore. E forse, la soluzione non è uno e nemmeno da tre in poi, ma due che, per dirla con Erri De Luca è « il contrario di uno, della sua solitudine. Due è alleanza, filo doppio che non è spezzato ». Ecco, tuttoconsiderato, questo è esattamente quello che non volevo dire.
Tags: branco, il contrario di uno, paura, senza un perchè
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Scrivere con la mente – Il trapasso dal mondo delle idee morte al mondo dei pensieri vivi. Panorami attivi sui colli bolognesi
settembre 21st, 2009 Posted 10:13
Un buon assassino torna sempre sul luogo del delitto. Lo farebbe anche la vittima se potesse. E io che sono vittima e assassina insieme, sono tornata oggi in uno dei luoghi dei miei atroci delitti e quello che ho provato è stato meglio di un orgasmo. In quella dimensione mobile in un corpo immobile che viaggia su un corpo metallico in movimento. Il traghettatore inconsapevole della mia anima non sa che mi consente il trapasso, attraverso le nebbie vuote della nothing box, da quello che io chiamo il mondo delle idee morte a quello dei pensieri vivi che in questo stesso istante tornano ad essere idee morte perchè perdono di colpo la potenzialità del divenire diversa espressione. E così, quando lui si ferma, io scendo a terra ma tengo indosso il casco per tenerli stretti quei pensieri vivi, attaccati alla testa che senza rischia di esplodere da un momento all’altro se solo si lancia nel loro inseguimento. E contemplo il panorama dei colli bolognesi dove noto e annoto cose, prima di sentire una voce che mi chiede il perchè di quel casco addosso mentre cammino con le mie gambe, a passo d’uomo, appunto. Rispondo come ho detto : ho paura la testa mi possa esplodere se perdo i miei pensieri vivi. Potrebbe anche succedere con te, dice lui, che tu sei matta. E ride. Io rido lo stesso anche se adesso già piango questa morte. Poi risalgo sul moderno vascello e ritorno nel mio regno dei pensieri vivi che di nuovo scritti, ora, rimuoiono all’istante. Poi vedo una chiesa rosa, e penso a una casa e dico la compriamo, prima di rivivere un déjà vu dove io quella casachiesa l’ho già vista e c’ero anch’io dietro al cortile senza sapere cosa fare mentre i bambini nello spiazzo di fronte giocavano a calcio. Oggi ho portato la macchina fotografica con me. L’ho portata senza pretese. Credo di avere fotografato la scritta « odi et amo » sulla strada una quindicina di volte. E’ possibile che io sia matta, ed è probabile che sarà il cuore a tradirmi e non la mente.
Tags: colli bolognesi, idee morte, nothing box, odi et amo, pensieri vivi, scrivere con la mente, sulla strada
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Piccoli pensieri di settembre e intolleranze alimentari (cose che proprio non riesco a digerire)
settembre 17th, 2009 Posted 12:08
Da qualche giorno la piadina di Hello Kitty mi tormenta. Non ho potuto fare a meno di comprarla e ora sono condannata a rimirarla. C’è poco da discutere : sono schiava, più di quanto voglia ammettere, delle politiche di marketing. Questo, proprio, non lo digerisco.
Mi sono chiesta : « ma se il senso rimane solo mio pur come lieve percezione, ha senso ? » Mi sono risposta che sì. Tuttavia, nonostante sì, ho deciso di afferrarlo e fissarlo per comunicarlo e condividerlo. A rischio e pericolo prima di tutto miei. Perchè ciò che non tollero mi difetti è il coraggio. Nel bene e nel male. Poi mi devo interrompere per mangiare. E’ pronto in tavola. E credo che quando riprenderò questa penna in mano, sarà tutto finito perchè l’incanto lucido della mente ha un tempo piccolo che non ammette interruzioni. Riprendo con le gocciole pavesi in tv e non so più niente di quello che sapevo prima. Per fortuna questo giro di giostra l’ho scritto. Ma se provo a riviverlo, la memoria mi tradisce. Ormai sono scesa. E questo, proprio, non lo digerisco.
« Un buon artista è tale solo se si concentra e ha paura ». L’ha detto la Maionchi a X Factor. Io non sono un’artista, ma mi concentro e ho paura. Dunque potrei essere su una buona strada. Che non si chiama arte, ma magari vita. Vorrei legare bene le due cose, ma non ci riesco. Questo, proprio, non lo digerisco.
La piadina di Hello Kitty è un chiodo fisso che mi riporta ad un altro chiodo fisso : l’abito fa il monaco. Ma io mi sento nuda. Come una piadina in cerca del sacchetto giusto. Spero di non finire nel bidone dei miei cattivi pensieri. Il letame, proprio, non lo digerisco. Così come i fiori.