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La valigia di cartone
febbraio 12th, 2010 Posted 19:10
E’ stato un amico, un artista affermato, una persona che stimo a consigliarmi di scrivere questa storia. Che non dovevo limitarmi a viverla, ma dovevo scriverla. Mi ha detto così riguardo a questa storia che ogni giorno, attraverso il passare delle stagioni, vivo. L’ha definita bella, commovente e antica perché è una storia che parte da lontano e si tramanda e viaggia perché vuole arrivare lontano. Vuole arrivare lontano per poi ritornare alle origini perché chi non se n’è mai andato, non può comprendere la gioia e l’importanza del ritorno. Eppure è ferma, ora, questa storia, apparentemente è un racconto fermo, ma forse è proprio nell’immobilità che tutto nasce.
Siamo in Francia negli anni Cinquanta e c’è un giovane uomo con una valigia di cartone. Ha lasciato l’Italia, il suo paese e la sua casa in cerca di lavoro e di fortuna. L’uomo farà poi ritorno a quella casa, a quel paese, a quei vicini e alle loro finestre perché è da lì che lui vuole guardare il mondo. Ma adesso quel giovane è in Francia con la sua valigia di cartone che può contenere poche cose, pochi effetti personali. Prima di partire, forse per paura di perderlo quel misero bagaglio, ha scritto il proprio nome ovunque, fuori e due volte dentro, perché sia chiaro e perché spera che qualcuno, se dovesse succedere un imprevisto, possa riportare tracce di sè. Al suo paese, a quei vicini e a quelle finestre da dove lui vuole guardare il mondo. Quell’uomo è un migrante e io all’epoca non sono ancora nata.
Io entro dopo in questa storia, alla fine degli anni Settanta, quando quella valigia di cartone non serve più. Apparentemente è inutile. L’uomo è tornato, ha smesso di viaggiare, o forse il viaggio si è solo interrotto perché lui ha trovato la sua fortuna. E l’ha trovata al paese. Ma quella valigia, piena di polvere e ormai inservibile è ancora lì e mi chiama. Nessuno oggi vorrebbe mettersi in viaggio con una valigia del genere. Soprattutto per andare lontano. Per esempio in Francia. Ma la valigia mi chiama e la mia anima in viaggio la ascolta e decide di portarla con sè. Ovunque vada. A me quella valigia serve. E’ il mio unico effetto personale. L’unico che valga la pena, un giorno lontano, di conservare perché riporti tracce di me, perché mi ricorda, ogni giorno, chi sono, da dove vengo e come voglio vedere le cose del mondo. So che la mia strada, parafrasando Jules Verne, porta a un destino più che a una destinazione e quella valigia è lì a raccontarmelo ogni momento. E’ un’opera d’arte, anche se nessuno avrebbe l’ardire di affermarlo. Quella valigia sono io. La valigia ora è esposta nel piccolo sottotetto dove vivo. E’ aperta e dentro non c’è niente. C’è solo quel nome scritto a penna. E due iniziali nere, ripetute con il pennarello grosso. Le iniziali sono S e B. E c’è il nome per intero. Scritto in corsivo con una calligrafia elementare, ma molto curata. Perché è un gesto importante quella
scritta. E’ definitivo. Segna l’inizio del viaggio.
La valigia è piccola e il proprietario, l’abbiamo detto, ci fece un lungo viaggio. Andò in Francia negli anni Cinquanta in cerca di lavoro e
di fortuna.
S. B, il proprietario della valigia, mi ha lasciato in eredità quel suo “effetto personale”, e io la vedo sempre, davanti a me, la scena in cui mi dice tienila, Silvia, non sei te quella che dice sempre che vuole viaggiare?
E infatti, quando ho deciso di mettermi in viaggio,
me la sono portata dietro la valigia di cartone di S.B. La valigia è
aperta, ai piedi del letto a ricordarmi che posso andarmene quando voglio. Posso rimettermi in viaggio in ogni momento. E’ apparentemente vuota, quella valigia, ma in realtà è piena.
Ho intitolato l’opera d’arte: POVERO MIGRANTE CON VALIGIA PIENA DI
PERPLESSITA’
E ora vi chiedo, una volta in più, chi avrebbe l’ardire di affermare che quella valigia,
la valigia di S. B segnata con il pennarello nero, come una
marchiatura perenne, possa essere un’opera d’arte? Solo io, di certo,
perché “vedo” tutto quello che non c’è. Perché non serve. Quello che
serve, per viaggiare, è tutto lì. Quello che serve a una come me per viaggiare è tutto lì.
S. B era mio nonno. S. B in qualche modo sono anch’io. Boa Sorte.
C’est un ami, un artiste accompli, une personne que j’ai me conseilla d’écrire cette histoire. Je n’aurais pas dû me limiter à vivre, mais je devais l’écrire. Il m’a raconté cette histoire pour que chaque jour, par le passage des saisons, en vie. Il a appelé belle, émouvante et vieux parce que c’est une histoire qui a commencé il ya longtemps et a été rendue et en voyage, car il veut aller la distance. Il veut s’éloigner, puis revenir à l’essentiel, car qui a jamais vraiment disparu, ne peut pas comprendre la joie et l’importance de la déclaration. Pourtant, il est encore, aujourd’hui, cette histoire est apparemment toujours une histoire, mais peut-être c’est juste que tout est né dans le calme.
Nous sommes en France dans les années cinquante et il est un jeune homme avec une valise en carton. Il quitta l’Italie, son pays et sa maison à la recherche de travail et de chance.Il reviendra ensuite à la maison à ce pays, leurs voisins et leurs fenêtres, parce que c’est là où il veut voir le monde. Mais ce jeune homme est maintenant en France avec sa valise en carton pouvant contenir un certain nombre de choses, quelques effets personnels. Avant de quitter, peut-être par crainte de perdre que les bagages misérable, a écrit son nom partout, à l’extérieur et l’intérieur deux fois, et il espère qu’il soit clair que personne, si quelque chose d’inattendu se produit, peut porter des traces de leurs propres. Dans son pays, à ceux et celles à proximité de fenêtres d’où il veut voir le monde. L’homme est un migrant et moi ne sommes pas encore né à l’époque.
Après-je entrer dans cette histoire, dans la fin des années soixante, lorsque la valise en carton ne sont plus nécessaires. Apparemment, il ne sert à rien. L’homme revint, cessé de voyager, ou peut-être que le voyage a été arrêté parce qu’il a trouvé sa fortune. Et il a trouvé le pays. Mais la valise pleine de poussière et de devenir inutile et il est toujours m’appeler. Personne aujourd’hui ne voudrait Voyage avec une valise comme ça. Surtout pour s’en aller. Par exemple, en France.Mais la valise de m’appeler, et mon âme entend et décide de faire un tour à l’emmener avec lui. Partout où il va. J’ai besoin de cette valise. C’est mon seul effet personnel. La seule valeur d’un jour de suite, si nécessaire pour garder une trace de moi, car elle me rappelle tous les jours qui je suis, d’où je viens et comment je vois les choses dans le monde. Je sais que ma manière, pour paraphraser Jules Verne, conduit à un destin plutôt qu’une destination et que la valise est là pour me dire tout le temps. C’est une œuvre d’art, même si personne n’oserait dire. Cette affaire, c’est moi. L’affaire est maintenant exposée dans le petit grenier où je vis. Il est ouvert et à l’intérieur il n’y a rien. Il ya juste le nom écrit à la plume. Et deux noirs initial avec le gros feutre à plusieurs reprises. Les initiales sont S et B. Et il ya le nom en entier. écriture cursive avec un niveau élémentaire, mais très élégant. Parce que c’est un geste important qui
écrite. E ‘final. Il marque le début du voyage.
La valise est petite et le propriétaire, nous l’avons dit, nous avons fait un long voyage.Il se rend en France dans les années cinquante et la recherche de travail
de chance.
S. B, le propriétaire de la valise, elle lègue tous ses «effets personnels», et je vois toujours devant moi, la scène où je dis que le garder, Silvia, n’est-ce pas celui qui dit toujours qu’il veut Voyage?
En fait, quand j’ai décidé de Voyage,
J’ai l’écoulement derrière le carton valise, la valise est en SB
ouverte au pied du lit pour me rappeler que je peux partir quand je veux. Puis-je revenir sur la route en tout temps. Et «apparemment vide la valise, mais il est plein.
J’ai appelé: POVERO MIGRANTE CON VALIGIA PIENA DI PERPLESSITA’
Et maintenant je vous demander, une fois de plus, qui oserait dire que la valise,
le cas de S. B marquée avec un marqueur noir, comme un
marquage permanent, peut être une œuvre d’art? Seulement moi, bien sûr,
parce que je «vois» tout ce qui n’est pas là. Pourquoi ne pas nécessaires. Qu’est-ce
besoin de Voyage, tout est là.Qu’est-ce utilisé pour quelqu’un comme moi de Voyage est là.
S. B était mon grand-père. S. B en quelque sorte trop. Boa Sorte.
Tags: destinazione, destino, opera d'arte, valigia di cartone, valigia piena di perolessità, viaggio
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Un giorno da Deejay, un giorno a Radio Deejay, un giorno con Deejay. Dai, insomma, un giorno in via Massena, con Linus e Nicola, seduta imbalsamata che ero tinca come un sardone che gode come un riccio bambino il primo giorno che la mamma lo porta a scuola. Tu chiamala, se vuoi, « EmozioneDeejay ».
febbraio 8th, 2010 Posted 12:44
Allora tu sei lì che leggi, vedi, provi, parli. E un paio di settimane dopo intercetti tra le altre una e-mail da Deejay e c’è scritto che hanno scelto anche te. Tu strabuzzi gli occhi e leggi più volte e cerchi un « non » prima di « scelto » che ti faccia pensare che è tutto regolare, che il giorno è un altro giorno, un qualunque giorno di un altro tempo, di un altro spazio, di un altro mondo. Sì, sei un avatar impazzito che ha sbagliato computer. E, invece, giovane rimbambita che non sei altro e ti affretti a rispondere al cellulare, ti devi svegliare, che il sogno tocca a te. Volgi lo sguardo quagliato verso la tua libreria, perché tu sei una che alla Parola ci tiene come alla vita e noti un libro di Erri De Luca. Leggi la quarta. C’è scritto che sono cose che capitano il giorno prima. Il giorno prima di che ? Il giorno prima della felicità. Poi prendi un treno per Milano con la testa che è una valigia carica di perplessità. Non hai detto niente a nessuno perché, magari, sei su scherzi a parte e invece no. Il portiere scorre la sua Schindler list e c’è il tuo nome di miracolato. Sali le scale, ti gira la testa, un’ambulanza grazie ! Il portone si apre e ci sei, sei a Radio Deejay. Pensi…che è meglio non pensare che sei in preda a uno Sbatti cosmico di portata inaudita.
Vedi passare Linus e Nicola, ma non c’è una tv o uno stereo tra loro e te, ci sono al massimo tre quattro passi, un metro di pavimento. Chiudi gli occhi, magari hai le visioni. Li riapri ed è tutto come prima. Pensi di toccarli per convincerti che non sono ologrammi, ma Santo Iddio, mica puoi chiedere a Linus o a Nicola o a entrambi : Scusate, posso darvi una toccatina innocua per essere sicura sicura che siete in carne e ossa ? Non sta bene, non è cosa, non si fa. Allora stai zitta e a cuccia finché arriva il tuo turno. Entri, ti sieti, non metti la cuffia che è meglio, che altrimenti ti spaventi da sola con quell’accento romagnolo che ti ritrovi. diobo!
Senti ridere, però, quando parli e ridi anche tu. Ma sì, chissenefrega, siamo umani noi. E anche Linus e Nicola lo sono. Capiscono che fai fatica, che sei emozionata, che sei suonata nel senso di trombe che ti fischiano alle orecchie e tamburi in testa. La verità è che la vera musica in quel momento sei tu, sono le persone con le loro voci, più o meno simpatiche, più o meno convincenti, più o meno vere. La vera musica è quella festa, quel compleanno condiviso, a cui tutti hanno partecipato e che alcuni, invornita compresa, sono stati chiamati a rappresentare. Con le loro emozioni.
Quando sono emozionata so, una volta in più, di essere un punto piccolissimo su questa terra così grande.
Quando sono emozionata non vorrei mai scendere dalla mia barca immaginifica, come il pianista sull’oceano che sa che il mondo è uno strumento troppo grande per essere suonato da pochi
Quando la tua voce per un giorno può incontrare il timpano dell’altro, speri di non romperglielo del tutto
Quando la tua voce ospita rospi, fischi e fiaschi, sai che flash
Quando ti ritrovi seduta vicino a Linus e Nicola e hai irrimediabilmente capito che è vero, allora ti svegli e sorridi, non prima di aver pensato a Matrix, ad Alessio Vinci e alla celeberrima : io c’ero. Avete presente quando hanno fatto « un giorno da deejay » ? Bè, io c’ero. E allora grazie, grazie di cuore e see you soon.
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Ps per i cuori più duri a morire: se qualcuno di voi fosse, come dire, curioso come una scimmia, può riascoltare l’audio che mi vede coinvolta sul sito di Radio Deejay. C’è una sezione con tutti gli audio dei 100 intervenuti a “Un giorno da Deejay”. Però vi avviso, che ho una voce della serie “viva la Romagna e il sangiovese”. Insomma, sono io, un’ autentica impietrita agli albori! Dunque fate vobis. Se avete voglia di divertirvi. Se poi volete pure metterci il carico da novanta, guardate la foto con Linus e Nicola. Io sono assurda, con la testa accasciata sul torace del buon Linus. Titolo: e, dopo la diretta, si accasciò esanime e cadde, come corpo morto cade. Vedi Divina Commedia. Ovviamente quella di Roberto Benigni…
Fate una cosa più pratica, via, andate qui
Tags: emozionedeejay, grazie, io c'ero, un giorno da deejay
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SBATTI GENERATION
gennaio 20th, 2010 Posted 11:01
A giugno del 2008 terminai di scrivere il mio secondo libro. Lo proposi subito ad alcuni editori che lo rifiutarono. O meglio, rifiutarono una pubblicazione completamente gratuita. Allora il libro rimase un po’ lì a pensare, finché, nel corso del 2009, mi convinse a farsi ripresentare ad alcuni altri editori. Anche questi seguirono l’esempio dei primi. Dunque il libro, stanco di andare a zonzo a chiedere cosa si pensasse di lui, mi ha chiesto in questi giorni, come originariamente promesso se non si fosse trovato un editore disposto a credere in lui, di pubblicarlo su questo blog. E io lo accontento e mi accontento, anche perché sto scrivendo un altro libro e, a dirla tutta, due « figli » che chiedono dalla mattina alla sera questo o quello, non sono in grado di gestirli. Perciò sono qui, ora, in data 20 gennaio 2010, a presentarvi questa mia opera che è un’operetta, un libro ironico ambientato in questi tempi duri per noi giovani. Si chiama SBATTI GENERATION e racconta di un tipo di nome Marcello che vuole fare il pensatore cre-attivo, ma nessuno, come c’è da aspettarsi, lo prende in considerazione. Poi c’è la Luana, una tipa piuttosto intrippata con le questioni d’amore. Ci prova, insomma, ma pure lei mica ha un gran successo con gli uomini… E infine, c’è un certo Silvio Emmanuele che è un bambino di otto anni, depositario di una grande verità, quella dello SBATTI. Poi, chi c’è ancora? Bé, ci sono i magnifici del circo rivierasco dove è ambientata praticamente tutta la storia, c’è un cane di nome Pertini, un nano, un muratore quasi muto, un domatore di leoni, un letto cinese e un militare depresso. C’è una piantina che non viene mai annaffiata e dunque ha assunto un’aria da salice piangente, c’è Hillman, Scrat e la ghianda. Ma soprattutto c’è il codice della mia anima, che ha voglia di esprimersi e dà voce ad una fervida immaginazione da cui originano costantemente storie e personaggi. A questo punto vi invito a leggerlo questo libro e magari, se vi è piaciuto, a consigliarlo ai vostri amici per almeno quattro buoni motivi :
è gratis
è corto
è divertente
è attuale
Veniamo al dunque: avevo pensato di inserire quei servizi di donazione libera. Tradotto: se vi va di donarmi un euro tanto per gratificarmi visto che scrivere è la mia passione che significa pure sofferenza, lo accetto volentieri. Poi, però, ho ritenuto preferibile affidarmi al buon vecchio caro baratto, io do una pecora a te e tu dai un lupo a me. Forse un lupo no, diciamo quattro capponi, dai. Allora la nostra modalità sarà questa: io do le mie parole a voi, voi quando ci vediamo mi pagate da bere (si va dal caffè all’aperitivo, ovviamente, perciò attenti all’orario in cui mi invitate perché i costi delle mie ordinazioni variano, in genere aumentano sul far della sera). Altrimenti, per i più romantici, scambiamoci le emozioni: donate una moneta a un artista di strada, quando lo incontrate sul vostro cammino, perché anche io sono tale perciò, donando quella moneta all’artista incontrato sulla vostra strada, è come se l’aveste donato a me.
Scegliete liberamente. Scegliete in coscienza. Io mi fido di voi.
Silvia C.
Premi qui per scaricare il libro
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Una sera d’inverno alle prese con i Calzini
gennaio 8th, 2010 Posted 13:03
La Signora dei Calzini sarà con me comprensiva se questa mia parola di scrivere a suo riguardo ha subito un rilevante ritardo. Non ci sono scusanti e le attenuanti sono corse a nascondersi, quando le ho mandate a chiamare per chiedere loro di farmi perdonare di una promessa che qui cessa di esser debito. Ora dubito del fatto che la Signora mi abbia giocato uno scherzetto, perché pensando ai suoi, di calzini, dei miei alcuni ne ho smarriti. Cose che capitano tra cassetti dismessi e versi messi a stendere fuori stagione. A metà novembre, una sera come tante, non avevo affatto voglia di uscir dalla mia tana per andarmene a sentire chissà quale fesseria per le strade di Bologna ma poi mi ritrovai… in un centro sociale che forse era tale, forse no. Un banchetto di libri proponeva insieme a testi di Alda Merini, una certa Signora dei Calzini che la mia curiosità si spinse ad indagare. C’era chi prometteva uno spettacolo a breve da quelle parti e lo spettacolo, di grazia, l’ebbi, soprattutto dopo aver avvicinato di mio la singolare Signora che, a un passo dal palco, dopo intenso parlare, mi disse emblematica: mi è scomparso il mal di testa. Fu così che una poesia di riscaldamento, insieme al vino, mi entrarono dentro insieme al wow di incitamento, con quella sapiente parodia di certi ruoli che nelle date situazioni ognuno fa per assumere. Gli oggetti si appendevano e « metri altrui », si discutevano in fase di presentazione perché « la poesia è fatta di parole, mica di naso ». Ma dipende, dice la Signora, il poeta deve essere ben capace di mentire, di essere pinocchio autentico. E io sì che son d’accordo con questa nobile teoria, pur non essendo mai d’accordo con la poesia (sto mentendo, è chiaro). Sono attenta, attentissima, ma poi succede che mi distraggo e allora il Super Io interviene « guarda che se ne accorge », dice, « non mi importa », dico io, « guarda che pure la Signora qui presente si barcamena qua e là ». Già, anche lei picchia se stessa in barca con un remo. E lo confessa pure. Così diventa logico che una spugna assorba tutto il vino che c’è da quelle parti, sul palco e sotto. Cose che ti devi per forza togliere le scarpe col tacco, se non vuoi sentirti costretta a stare al gioco di tutti. Sono ospite in prima fila della Signora, e posso capire questa sporca questione legata alla dignità femminile. Ecco, nobile Signora, ora sì che piedi per terra possiamo parlare come si conviene. Lasciamo da parte l’oroscopo e i quel che accadrà, cosa accadrà, tanto nessuno lo sa. Iniziamo a parlare da « Una storia così », quella che mi hai raccontato tu a partire dalla tua scrivania che quando l’hai comperata stava su un prato. La mia, ora ti dico, la mia stava in un un vuoto. Quello della memoria che me l’ha riportata sana e salva, affinché potessi ricordarla. Vorrei poi sapere, mia santa Signora, di quanta parte di estraneità saranno composti i miei bambini. Lo so, questa domanda per prima tu te la sei fatta, ma è importante rifarsela e rifarla, se in una soluzione si vuole sperare, una soluzione pratica che non ha niente a che vedere con la « filosofia da fiori in vaso » perché anche se la condivido, non avertene a male e lascia che te lo dica, il senso non esiste per noi « gente con la tazza ». E ora, togliamoci i calzini e lasciamoli andare per il mondo, piccoli riti di passaggio a scorrere dentro un fiume in piena. Anzi, “Amare aperto”.
Ciao Alessandra, questo qua sopra, dopo aver visto il tuo straordinario spettacolo, è il mio omaggio per te.
Chi è Alessandra Racca: è poetessa di grande immaginazione che porta in giro una spettacolare performance “Eroticismi” fatta di parole, luci, suoni, ma pure sottovesti e calze a cui, per un fortunato caso, ho assistito. Ha scritto un bellissimo libro di poesie che ho letto e vi invito ad acquistare e che si intitola “Nostra signora dei calzini”. Edito da SEEd.
Tags: Alessandra Racca, bologna, calzini, Eroticismi, la Signora dei Calzini, poesia, spettacolo
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IL VIDEO del post QUELLO CHE VEDEVO
gennaio 2nd, 2010 Posted 17:00
Inauguro il 2010 con una nuova trovata: il video del post intitolato:
“QUELLO CHE VEDEVO”
Quello che vedevo erano le mie orme sulla sabbia, un triste andare incerto. Le orme erano più grandi dei miei piedi o almeno così io vedevo. Poi ho avvertito le onde del mare e mi sono distratta. Mi sono girata verso la spuma e ho voluto bagnare i miei piedi. Le orme no, non potevano essere toccate, erano più in alto. Non le raggiungeva la spuma. La spuma non le raggiungerà mai le mie orme, ho pensato. Mi chiedevo se davvero quelle fossero le mie orme. Non sembrava, ma di lì ero passata solo io. Quello che vedevo. Non vedevo nessuno a piedi davanti a me finchè ho visto una barca di legno giallo e blu e un vecchio anche, con il cappello in testa, seduto sulla barca. Non era proprio un vecchio, era un uomo di mezza età. Sembrava cattivo allora ho fatto finta di niente ma lui mi ha chiamata ed era l’imbrunire. Non ci vado, ho pensato a testa bassa. Non mi fido. Vieni qua, ha detto lui con gli occhi che io ho solo immaginato. Era il mio pensiero. L’uomo mi ha ordinato di sedermi davanti a lui, ai piedi della barca e ha detto “Io sono il tuo pensiero”. Io l’ho abbracciato anche se non lo conoscevo e poi abbiamo deciso di camminare insieme, ma non uno di fianco all’altra. Abbiamo deciso che lui avrebbe camminato davanti a me per aprirmi la strada e proteggermi e io l’avrei seguito ad occhi chiusi. Quello che vedevo. Poi dopo, quando ho chiuso gli occhi e non ho più visto, ho deciso che mi sarei fidata per sempre delle orme del mio Pensiero.
Tags: barca, colori, destino, giacomo paci, mare, occhi, orme, passi, piedi, sabbia, silvia castellani, spiaggia, spuma, testa, vecchio, vita
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Letterina di Natale dall’Isola che c’è
dicembre 24th, 2009 Posted 16:17
Caro Babbo Natale,
mi scuso se scrivo da arrabbiata, ma penso sia proprio il momento giusto per fare le mie richieste. Che poi quando mi calmo divento troppo diplomatica e non riduco più niente, ché la diplomazia paga tra perbenisti ed io dubito seriamente di essere tale. Dunque tra « brava » gente si parla da arrabbiati, così ci si comunica ben bene ciò che si pensa, evitando di dirselo dietro da vigliacchi. Ti farò un po’di richieste, non tutte, perché non voglio essere ingorda e fare la fine di Corona. Al primo posto, comunque, vorrei una manciata di soldi, visto che quest’anno non dico di aver fatto la fame, ma ho vissuto in guardia, facendo attenzione al più piccolo centesimo per non venire colpita dritta in faccia dalla famigerata crisi. Di questo 2009 mi rimarranno senz’altro il ricordino di tutte le volte che sono uscita dalla porta con gli euro contati per andare al supermercato e i « tre per due » e simili che mi sono sentita costretta ad acquistare complice il buon senso rimastomi di non approfittare della generosità altrui. Nonché le visioni dei finti colpiti dalla disperazione dei tempi, tra cui, in particolare, un grasso e vecchio babbione con innumerevoli carrelli pieni di roba per sé e i suoi cani firmati da testa a coda. Al secondo posto : vorrei imbattermi, nel complesso, in gente più seria di quella incontrata quest’anno in cui ho fatto decisamente il pieno di…non so nemmeno come definirlo questo tipo di prossimo passato, tante son state le negatività che gli ho contate addosso. Comunque, la soluzione è questa, Babbo Natale : rendimi più stronza ab ovo che orgogliona in extremis. Se tu che leggi la lettera o un tuo assistente, non sapete il latino, le due locuzioni vogliono rispettivamente dire all’inizio e alla fine. Orgogliona, invece, è una parola che ho inventato io. Significa : orgogliosa e cogliona insieme. Un mix micidiale. Al terzo posto : ti chiedo di farmi incontrare numero 0 di Gatti e Volpi che si svegliano la mattina per architettare come inculcare il prossimo. Togli una c e scopri l’arcano. Mi pare, da questo punto di vista, che quest’anno io abbia ripagato abbondantemente il debito sociale pro capite di furbi del quartierino. Dunque dammi la lucidità necessaria, nel 2010, per decidere puntualmente che fidarsi è bene, non fidarsi è un bene maggiore. Non ti arrabbiare, adesso, che mi pare di sentirti mentre mi rinfacci tutte le volte in cui mi hai mandato Campanellino per cercare di avvertirmi in tempo.Cosa vuoi farci se ho sperato fino all’ultimo in un’esistenza diffusa del principio di buona fede ? Aspetta, aspetta. Adesso ti stai allargando. Cosa vuol dire « perché non mi chiedi la pace, l’amore, la fine della fame nel mondo ? » Già, Babbo Natale, perché non ti chiedo queste cose ? Perché si tratta di grandi miracoli e i grandi miracoli, da credente, li chiedo a qualcun Altro, se permetti. Ah, dimenticavo : se ce la fai, ma solo se ce la fai, rendi il Gatto con gli stivali più silenzioso mentre scrivo, perché tutto quel miagolare e quel calpestare di sottofondo mi tolgono i sentimenti, oltre alle parole. Ti volevo poi chiedere se è vera la storia di Pinocchio che ad ogni Vigilia ti convince a bruciare le lettere dei grandi, perché questa voce da un po’ sta girando in lungo e in largo tra gli adulti e ti confesso che ho il fondato sospetto che possa essere vera. Va bene che la priorità va ai bambini, però ti faccio presente che il mio è un caso speciale che merita attenzione da parte tua, essendo io mocciosa travestita da trentenne. Beh, che c’è di strano ? Mica solo i bambini giocano a fare i grandi, anche molti grandi giocano a fare i bambini. E io sono una di quei grandi lì. Allora, trattami secondo la mia vera natura, da bambina, ed esaudiscimi una volta tanto che non è vero che dopo non ho più desideri e divento grassa e depressa. Allora siamo d’accordo, ci conto. Al primo posto una manciata di soldi (non i gettoni d’oro come nei quiz però. Segnatelo) e ai punti seguenti l’immunità ai Cattivi. Aspetta, lascia stare tutto. Ho avuto un’illuminazione. Ho un desiderio più grande di tutti quelli che ho appena espresso. Questo sì che è uno di quelli che non puoi rifiutarti di esaudire, perché ne va dell’equilibrio delle vicende di tutti, anche di quelle che riguardano i bambini. Il desiderio è : non togliermi mai la voglia di combattere per i miei sogni e, se sei in vena, ti chiedo di spargere non solo su me, ma anche su tutti gli altri giovani, la tua polvere di stelle, quella che si dice che una volta che ti ha accarezzato, diventi un guerriero della luce per dirla con Coelho. Ecco sì, voglio questo per me e per tutti gli altri giovani : la voglia di lottare sempre per i nostri diritti, i nostri ideali e i nostri sogni, senza quella rassegnazione che alcuni Stregoni cercano di seminare nei nostri cuori. Solo così avremo il nostro meritato lieto fine. Se questa lettera non ti è piaciuta, caro Babbo Natale, sappi che la colpa, quest’anno, è del Genio e dei Tre Porcellini.
Buon Natale
La tua affezionatissima Belle delle Principesse Disney.
Tags: arrabbiati, attenzione, auguri, Belle principessa Disney, centesimo, lettera, Natale
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Omaggio agli amici di Aquafan
dicembre 18th, 2009 Posted 17:32
Andare, camminare, ricreare. Gambe che vanno, che insistono, che accelerano, corrono, inseguono. La propria ombra che si allunga, ti raggiunge e precede il sogno di un attimo. Gambe che bramano, tese raccontano e portano in coppia una storia unica. Gambe che danzano, riempiono, rallentano, riprendono e circondano lo spazio che vedono. Si fermano. Di fronte ad un’isola vergine che dondola e magari scalpita, ma nell’acqua si affascina e innocua si culla. Il sole che illumina e riscalda i pensieri immobili. Poi l’acqua scivola via su di un gioco veloce e crea un turbine di emozione che se la intrappoli, se ne scappa lontana, attraverso un tunnel che termina su una spiaggia onirica. Dove donne si osservano, si specchiano, si cercano, si trovano. A loro agio è un superfluo descrivere, ché il senso è deciso dal languido e morbido essere in sintonia con uno spazio immaginifico. Andare, camminare, ricreare. Correre, accompagnare, riflettere. Come dire. Aspettare.
Guardare, sedere e allacciare nudi desideri con le scarpe lasciate in disparte, sull’altra sponda, a sorvegliare. Che sempre c’è l’ombra amica a riparare quel che accade nel mare di sensazioni che ci portiamo impresse nel cuore. Così i piedi possono finalmente godere, insieme alle gambe e ai loro pensieri, quella luce speciale che non ha nulla di artificiale ma solo la luccicanza di un raggio di sole. Con il vento che refrigera il fare, nessuno si salva, prima o poi dall’essere protagonista di un tempo unico che tutto amplifica grazie a quel sorriso, quello sguardo, quel cenno risucchiati dall’onda emozionale che tutti travolge e qualcuno timido scansa, senza mai temere. Che proprio non può resistere agli scherzi e ai giochi di un’acqua indisciplinata che non se la smette di chiamare chi vuole partecipare.
Andare, camminare, ricreare. Braccia che vanno, che insistono, che accelerano, corrono, inseguono. La propria ombra che si allunga, ti raggiunge e precede il sogno di un attimo. Braccia che bramano, tese raccontano e portano in coppia una storia unica. Braccia che danzano, riempiono, rallentano, riprendono e circondano lo spazio che vedono. E si fermano. Poi si concentrano e si chiamano. Persone. Che si sdraiano, dormono e sognano, mentre si abbronzano, di tutto quel mondo intorno.
Si gongolano al pensiero sicuro che l’oggi è unico e muovono, insieme partecipano, che poi quell’attimo scivola via di nuovo, ancora, in quell’acqua che affascina e innocua ci culla mentre riflette le pose, le cose, le facce, le mani, le gambe, i pensieri che risplendono in mezzo a giochi d’acqua e di sole.
Rullo di tamburi
dicembre 11th, 2009 Posted 17:07
A volte succede. Succede che la mia testa venga rapita da pericolosi pensieri alieni. Il corpo la segue per mantenersi integro. Quindi la testa va e il corpo dietro. Se il corpo evitasse l’ingrato inseguimento, i pensieri alieni troverebbero il modo di farlo fuori. Quando capita, non ci si può far niente. Si può solo arrendersi. Ora, tenere questi delitti letterari chiusi a chiave nella galera di un cassetto tarlato mi fa sentire poco sicura, perciò oggi ne libero uno e lo do in pasto al prossimo. Che lo sbrani, per cortesia, così i pensieri assassini magari si stancheranno di fare incursioni nel mio cervello. Luogo, tempistica del delitto e ripercussioni fisiche : bagno di un noto locale notturno, occupazione dello stanzino per ben 5 minuti di orologio. Quando sono uscita, il mio corpo ha rischiato il linciaggio. Il mio corpo, spesso, in preda a pensieri assassini, viene brutalmente trascinato nei bagni dei locali notturni e costretto a commettere delitti letterari.
Delitto letterario n°1 – RULLO DI TAMBURI
Tamburi assordanti alle mie orecchie che ascoltano un playboy che entrato nel bar dice : ‘desso ti racconto cosa è successo ieri al Flamengo di Modena. Eh, stamattina volevo dire. E’ un playboy ruspante che con stile si autosuggestiona bevendo wow, liquore all’uovo. Mentre i tamburi sfrecciano a settanta miglia all’ora con le loro bacchette magiche, sulle flatulenze dei tergicristalli che non funzionano. Cappelli neri sopra voci roche che imitano Milano, quella da bere e da fumare con uomini dalle cravatte colorate a pendere da maschere interdette. Guarda il tamburo come sta appoggiato ai bulloni e ai piatti d’oro che ogni volta si infrangono senza spaccarsi in mille pezzi. Fatti a sedere. Bronser sta alla batteria con il bicchiere vuoto e punta i piedi sperando che Romuy gli serva un Manhattan. Schiocco e piovono ordinazioni allo zero assoluto. Lei sì che se ne intende – dice il cameriere mentre osservo il ritmo tribale che un tempo ho amato e ora mi confonde negli umori del vino che due volte è stato versato. Sai, ora che scrivo di te voglio solo dimenticare, mentre un uomo fa finta di ribaltarsi sulle mie (dis)grazie. Adesso io mi becco la giovane, sta pensando e la tardona al mio fianco lo guarda lievitare in caduta libera. E sembra l’africa nera più che mai, quella che fai fatica a raccontare senza svenire. La confusione non si dirada, le braccia paiono polpettoni e qualcuno dietro la porta urla vieni a ballare con me. Dance with me. Gli piacciono le conquiste difficili e mi guarda negli occhi. Io gli dico aspettami tesoro che sto per essere servita, ma intanto non ci sto più dentro. Il conto è tutto da pagare e qualcuno ha chiamato i carabinieri. Congelata sono coperta da una coltre bianca. Jazz? Non ne sono sicura ma è questo che sento fra i tamburi di battaglia e l’energia di un corpo in movimento. Portami a ballare dico, uno di quei balli antichi che nessuno.. Questa serie è dedicata agli esercizi di stile, ai doppi sensi, ai tripli, ai suicidi per errore. Ai lupi. La mela ti ha strozzato quando tu la succhiavi e tua madre ti ha picchiato sulla testa. Il pollivendolo spaventato per l’influenza aviaria si è buttato sotto al treno e un avvocato ubriaco è caduto dal ponte. E’ morto il vecchio che cercava di salvarlo. Si è salvato l’avvocato. L’infelicità è dovuta al mio carattere. Mi incontro per piangere.
Un giorno ti sparerò accidentalmente alle gambe caro e qualcuno busserà alla porta delle mie dita sensibili. Poi non opporrò resistenza anche se nell’arma saranno rimasti due colpi. Ma ora è tempo di ballare mentre il desiderio si muove nell’antro del mio respiro pesante. Il gallo che canta è compreso nel prezzo. Dopo la croce a sinistra, vai a destra – dice. Questi del corto arrivano che è tutto finito – dico io. Adesso raccoglimento e pausa musicale. Oggi la nebbia agli irti colli piovviginando sale. Una corda vibra in mezzo alla membrana. Quante leghe sono ? Il saggio – dice. E chi è il saggio? Sono io – dice. Vedi, in mezzo agli occhi ho il terzo occhio. Se chiudo gli altri due, forse vedo. O sei un ciclope? – chiedo. Sì. E la farfalla dall’ala spezzata cade nel suo zainetto lucido. Te lo dico, va a finire a schiaffi, qui. Te lo dico. Parole sconesse e pseudoimprecazioni di Bronser che apre le braccia e sa che è sempre lì con tutto quel che ha : corpo e pensiero. Dammi due tiri così ti do tregua e prendi il respiro. Ma che respiro prendo, saggio, che l’aria è viziata. Io sono un macaco e tu un cane rabbioso.
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Uragano in corso
dicembre 5th, 2009 Posted 13:26
Sto facendo i conti con l’uragano e dentro ci vedo PERSONE, PERSONE di ogni tipo, PERSONE come me, diverse da me. Dentro ci vedo l’altro che spesso riflette me stessa e ancor più spesso riflette il mio non essere. Delle PERSONE, se sei capace, ti puoi disinteressare oppure puoi fare finta di capirle e ancora puoi farci tante COSE con le PERSONE ma nel mio caso non puoi fare finta di non vederle. Perché per me le PERSONE sono importanti, ché io senza le PERSONE non potrei vivere, non potrei sentire e non potrei scrivere. Non potrei essere.
Cosa vedo e cosa sento nel mio uragano: rilevo sempre e sempre più spesso l’ormai famoso martirio di San Me Stesso. Forza, avanti, tutti in prima linea a farsi applaudire e se qualcosa non va, mi raccomando, dare la colpa agli altri. Tema invidia: è una cosa latente, deprimente, diffusa, che serpeggia in troppi cuori capaci solo di mettersi in cattedra al momento buono per puntare il dito contro il prossimo e dire tu hai sbagliato. Certo, che è proprio vero quanto dice il padre al figlio nel film « La ricerca della felicità », che quando uno una cosa non la sa fare, lo dice a te che non la sai fare. Poi c’è chi cerca una scusa sempre e comunque e così non troverà mai una strada. E questa non è mia. Credo ci sia molta forma nei rapporti umani, in tutti i rapporti umani e la sostanza sia una bandiera a mezz’asta che tutti conoscono e per paura troppi si affrettano a voler sventolare sul campo delle proprie battaglie personali.
Ma la guerra è un’altra cosa e la guerra è tante COSE, e quella che si combatte contro se stessi non avrà mai fine se non davanti all’acquisito concetto del diverso essere. Cerco sempre di dare il meglio in ogni cosa che faccio. Quasi mai ci riesco perché spesso non sono capita o, se sono stata capita, intendo il contrario. Come vedete, sono allergica al meglio, nonché alla comprensione in senso assoluto, pur non essendo vittima e non soffrendo di manie di persecuzione. Nonostante l’allergia al meglio, rifiuto di vaccinarmi. Se dovessi morire, SCRIVETE SULLA MIA LAPIDE: « HA RIFIUTATO DELIBERATAMENTE DI VACCINARSI CONTRO L’UOMO ». Ma non morirò facilmente, che ai miei nemici piaccia o no. Ho usato la parola nemici perché è assurdo pensare di essere tutti amici. I nemici sono quelli che mi usano indifferenza, che mi ostacolano in sordina, mi deridono, mi insultano a fatti e a parole. Ma proprio grazie a loro, ai miei nemici, ho imparato le COSE che più mi sono servite e che, ne sono sicura, mi serviranno in futuro. Io, paradossalmente, amo i nemici. Altrimenti come farei a combattere? Al centro del mio uragano ora vedo quelli che quando sono giù, la risolvono dicendomi pensa in positivo che poi sono gli stessi che quando vedono qualcuno che pensa in positivo, lo reputano poco profondo. Se ridi, non va bene. Se piangi, non va bene. Allora io dico: ma andatevene a fanculo una buona volta con i vostri sentimenti raccomandati ad uso e consumo. Bene, adesso veniamo ai punti di riferimento, miti, modelli. Li ho cambiati. Prima mi piaceva pensare che fossero una decina di PERSONE e sottolineo PERSONE che per i miti patinati c’è tempo anche se non più speranza. Allora adesso questi punti di riferimento miti modelli PERSONE si contano su una mano. Con beneficio del dubbio e non perché, come canta quel cattivo ragazzo di Morandi, devi contare solo su di te, ma perché se conti su di te, la tua responsabilità è costretta a non precipitare. E dato che la responsabilità è per me concetto decadente, trovo più opportuno auto-ispirarsi. Penso che, invece, come canta Ligabue, a volte serve un motivo… un motivo che per me, laureatami in legge non so come, ha un preciso significato. Non è da confondere con la causa. L’effetto, come per i medicinali, può essere indesiderato, ma chi potrebbe vantarsi di poter controllare gli effetti? Forse uno ce l’ho in mente, ma tuttosommato, neanche lui. Tema amici. Se ci sono i nemici, devono per forza esserci gli amici. Gli amici, come vedo nel mio uragano odierno, mi sono stati di grande aiuto. A volte. Perché altre volte avrebbero fatto meglio ad ascoltarmi piuttosto che a darmi consigli non richiesti. Avrebbero fatto meglio ad ascoltarmi per non insultare quella comprensione silenziosa che è alla base del nobile sentimento. Ora, questo uragano di oggi è tremendo. Bisogna darci un taglio e procedere per concetti, quelli che rimangono, quelli che riesco a isolare ovvero: quando scrivo d’amore, le PERSONE hanno una reazione più forte, una reazione ammorbidente come quello che si mette in lavatrice. Sono pacate, fluttuanti, piene di buoni sentimenti. Piene d’amore. Sì, le PERSONE sono migliori. Si vede che c’è bisogno d’amore. Ma oggi c’è in corso l’uragano e non si può. Oggi finiamo con questo concetto:
SCRIVO PERCHE’ NON VOGLIO ARRENDERMI ALLO STATO DI COSE. DUNQUE DEVO SCRIVERE DELLO STATO DELLE PERSONE.
Mi pare che non torni niente e l’uragano col c…o che è passato. Però, al centro dell’uragano, continua a campeggiare quella furiosa scritta che adesso mi scrivo su un foglio e attacco al muro.
Tags: cose, persone, stato, uragano
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L’isola, la posada e San Giorgio
novembre 28th, 2009 Posted 00:40
Isola di Cipro. Parte greca. Una di quelle giornate andate perse. Poi incontri uno spiazzo immenso, con al centro una chiesa. Pensi sia una cattedrale nel deserto, ma non è vero, eppure c’è troppo spazio intorno a quella chiesa, uno spazio che non si fa riempire neppure col pensiero. Fermo la macchina. Sono sul mare. Tu non lo vedi il mare nella foto, ma c’era e urlava contro il vento forte. Ho avuto l’istinto di andarmene. Poi sono entrata in chiesa e ho visto San Giorgio che uccideva il drago. Il padre di una famiglia autoctona sollevava i figli, tre e piccoli, affinché potessero baciare a turno il dipinto. Anch’io l’ho baciato perché mi sarei sentita in colpa se non avessi onorato l’usanza. Ho lasciato che alcune monete risuonassero nel vuoto delle offerte, ho accantonato il pensiero di rubare uno dei piccoli ritratti sacri lasciati incustoditi e me ne sono andata. Fuori si era messo a piovere. Il mare urlava più forte. Prima di risalire in macchina, mi sono voltata verso il portone della chiesa. Qualcuno, San Giorgio forse, l’aveva chiusa. In quel preciso istante ho avvertito un brivido corrermi lungo la schiena.
San Giorgio mi è apparso per la prima volta in Messico. Che detta così può sembrare che abbia preso un paio di funghi allucinogeni e abbia avuto le visioni. No, nessun misticismo da due soldi. Il mio racconto, senza ragione apparente, parte da una stanza lontana. Stato del Chiapas. Posada Los Angeles. Mi ammalo. Ai piedi del letto un gallone d’acqua e, appeso al soffitto, un ventilatore che pare possa cadermi sulla testa da un momento all’altro e falciarmi il cranio con le sue pale. Accetto il rischio e per forza. Non ho energia per stare in piedi. Sono sola e disperata e l’uomo che mi affitta la camera non parla la mia lingua e bussa solo per controllare che ci siano ancora le lenzuola. Teme che gliele voglia rubare. Prima o poi, penso mentre l’uomo se ne va rincuorato dall’avermi vista moribonda sulle lenzuola al loro posto, mi rialzerò e riprenderò la mia strada. E così avviene. Passa qualche giorno e, dopo avergli nascosto sotto a un buco nel pavimento la federa di un cuscino, mi rimetto in cammino da turista diventata avventuriera senza averne l’aria. E’ in una bottega, mentre guardo dei souvenir di poco conto, che mi si avvicina un vecchio rachitico che farnetica in uno strano dialetto locale. Capisco solo San Giorgio e preghiera. Interviene il negoziante che ne approfitta per fare lo spiritoso, ché in realtà vuole solo vendermi un inutile ricordo. Dice qualcosa al vecchio che si tira su la maglietta. Provo panico, per il gesto inaspettato o per quello che vedo. Non so dirlo. Sulla schiena il vecchio ha un enorme tatuaggio di San Giorgio che, mi traduce il negoziante, gli ha salvato la vita. E’ stata la prima volta, quella, che ho visto rappresentato San Giorgio. Su un corpo. E’ stata quella la prima volta in cui qualcuno mi ha parlato di San Giorgio e il drago. E’ stato quello il mio incontro con il santo.
Tags: isola, Messico, posada, San Giorgio
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