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La pazzia di essere ricordati
giugno 30th, 2011 Posted 17:49
E’ una storia troppo bella per tacerla. E’ una storia che non può lasciare indifferenti perché vi si mescolano l’arte, l’amore e i gesti feroci, i soli che forse valgono la pazzia di essere ricordati. C’è un destino in questa storia che unisce due vite, legate molto strette e molto oltre al sentimento proprio dei legami di sangue. C’è un destino che lega una madre e un figlio. E c’è una città, che fa da sfondo alle loro vicende, che se non si fossero svolte in quella esatta cornice, oggi, è pressoché certo, questa storia non esisterebbe. La madre si chiama Marie-Clèmentine Valadon e cresce “libera” sulla Butte di Montmartre, a Parigi. Hugo, descrivendo nei Miserabili la figura dello ’scugnizzo’ parigino, scrive: “Non aveva casa né pane, non aveva fuoco né amore; era però contento perché era libero”. Sulla Butte la conoscono tutti, così come conoscono la di lei madre, spesso ubriaca. Poco più che bambina, Marie-Clèmentine va a lavorare al circo. Ha provato a fare la sarta, ma non ha funzionato. Lei disegna, lei è bella, lei è cresciuta “libera” e allora va bene il circo. Lì può esibirsi, può esprimersi, lì ci sono occhi che la guardano, mani che la applaudono. Disegna animali, le piacciono i cani, i gatti e i cavalli. Anche i fiori. E’ a causa di una rovinosa caduta che finisce presto la sua carriera da circense e allora, a sedici anni, sulla Butte, terra di artisti, terra in fermento, terra di speranze, inizia a fare la modella. Forse inizia a fare la modella sedotta dall’amore fisico, oppure succede il contrario, è facendo l’amore forse che si ritrova a fare la modella. Un giorno decide di andare a mostrare i suoi disegni a Puvis de Chavannes che di anni ne ha cinquantotto, ma ha anche uno studio a Neuilly ed è un pittore acclamato. Lui la prende con sè, ma la loro relazione non dura molto. Il maestro successivo è Pierre-Auguste Renoir che ha poco più di quarant’anni ed è possibile che i due si amino davvero. Però più tardi lei dirà: “Renoir, un vrai peintre, mais pas de coeur!” Un vero pittore, ma niente cuore. E’ lui, infatti, che a un certo punto la allontana, su richiesta della fidanzata che li scopre in atteggiamenti inequivocabili. Renoir obbedisce, manda via la modella. E’ il 26 dicembre del 1883 e Marie-Clèmentine dà alla luce Maurice. Non si sa chi sia il padre. I candidati alla paternità sono: Rodin, Renoir, lo scultore Bartholomè, il veneziano Zandomeneghi e lo studente catalano Miguel Utrillo y Molins. E’ quest’ultimo che otto anni dopo, una sera in cui ancora si discute di chi sia figlio il piccolo, si alza in piedi e proclama: “Per me sarebbe un vero onore poter firmare col mio nome l’opera di uno di questi grandi maestri!” Maurice è solo un bambino e gli è proibito entrare in casa prima che sua madre abbia terminato le sue “sedute d’amore” con gli occasionali amanti. Se ne sta seduto sul marciapiede, la testa stretta tra le mani. Maurice è solo un bambino, ma è un bambino sofferente, ha forti attacchi di epilessia che vengono placati con del vino rosso. Maurice cresce così sulla Butte, “libero” come sua madre. Da adulto, alcolizzato, il suo nome viene ridicolizzato in Litrillo e anche gli sfruttatori di prostitute che oziano a Pigalle lo deridono. Nella fase più acuta del suo male arriverà a bere dell’acqua di colonia e della trementina che usava per stemperare i colori. Maurice è furioso. Gli amici del “Lapin agile” che sono Russeau, Modigliani e Picasso, quando lo vedono cadere ubriaco, si affrettano a legarlo con delle corde al tavolo per evitare che al risveglio spacchi tutto. Viene ricoverato più volte in case di cura per essere disintossicato e sarà proprio un medico, dopo averlo dimesso dalla clinica in cui era andato a disintossicarsi, che consiglierà alla madre di tenerlo occupato con la pittura. Maurice ha diciannove anni. Scrive Francis Carco: “Chiedeva ai suoi quadri solo una consolazione ai suoi mali. Erano un rifugio, una compagnia nei giorni brutti, un sollievo, una speranza quotidiana. Ecco perché quell’artista non può essere collegato a nessun altro”. La madre, che Toulouse-Lautrec ribattezzerà Suzanne e che era riuscita a farsi un nome come pittrice soprattutto grazie a Edgar Degas, costringerà quel figlio alla tela, lo inciterà, lo incoraggerà e lo aiuterà a diventare Utrillo, quel grande pittore senza pari che ha dipinto “La Pazzia”. Morirà diciassette anni dopo la madre, colmando così quella differenza che li aveva separati all’inizio.
Ho appreso questa storia da un bellissimo libro di Corrado Augias che si intitola “I segreti di Parigi” che vi consiglio di leggere.
Tags: Butte, destino, essere ricordati, la pazzia, Montmartre, pittori, Utrillo
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Si potrebbe pur piangere – metafora teatrale
giugno 20th, 2011 Posted 19:17
Quella volta mi ha vista di fuori sola, che curiosavo, e mi ha detto, col collo lungo per vederci meglio: “Ma tu… stai piangendo, forse?” Cercava un motivo che giustificasse il fatto che fossi rimasta lontana dalle luci, dal gruppo, dagli altri, dalla vita assistita, dall’accanimento terapeutico. No – ho risposto. Ho risposto no che voleva dire che io non ho bisogno di guardare gli altri ad oltranza per sapere cosa devo fare, cosa voglio fare, cosa posso fare. Non ho bisogno di incrostarmi. Lì immobile a vedere ripetuta da altri la stessa scena, la stessa azione, la stessa vita. La loro vita. Non ho bisogno di stare lì ferma a vedere l’esibizione perché è una facile rassicurazione. Ho un tempo preciso io, di resistenza agli altri, poi me ne devo andare per non morire di noia. Si nasce attori o spettatori o solo attori? Se in questa vita non c’è posto per tutti attori, allora bisogna fare gli spettatori. Bisogna stare fermi lì, immobili, a vedere ripetuta da altri la stessa scena, la stessa azione, la stessa emozione. La loro emozione. E’ per questo che la gente si muove in gruppo e assiste pur senza interesse al muovere altrui? Ci abituano ad assistere. No- ho risposto – sono uscita perché dovevo fare una telefonata. Così era più tranquillo, tutto rientrava nell’ordine costituito e non si metteva a piangere.
Tags: attore, curiosare, emozione, gruppo, noia, piangere, resistere agli altri, solitudine, spettatore, vita assistita
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Una donna in corriera di Delfina Solinas
maggio 30th, 2011 Posted 19:59
Io l’ho letto e ho pensato: un autentico trip. Consigliatissimo per le donne in carriera.
Ci sono donne, e sono tantissime, che perdono tutto pur di inseguire la carriera.
Io ho perso un sacco di cose per inseguire la corriera. E alla fine ho perso anche la corriera, un sacco di volte.
Ognuno ha la sua carriera, e la segue per tutta la vita. Io, di corriere, ne ho seguite tante; e il lato positivo è che se perdi la tua carriera è un casino recuperarla, se perdi la corriera dopo dieci minuti passa l’altra e al massimo hai perso dieci minuti. Questo succede sempre, tranne che con l’8- Monserrato. Perdere l’8 è quasi come perdere la carriera, forse anche peggio.
L’inizio della mia carriera di donna in corriera risale a tanto tempo fa, tantissimo tempo fa. Ma le corriere significative cominciano dal 1996.
La mia prima corriera si chiamava 5 barrato, o meglio 5/12. Nessuno ha mai capito perché 5/12 e non ad esempio 5/9 o 5/36, ma del resto nessuno ha mai capito il sistema di numerazione delle corriere. Infatti ci sono numeri che non esistono nelle corriere. Cominciamo da Cagliari e proviamo ad andare in ordine.
La prima corriera è l’1. Non solo perché è il primo numero ma anche perché l’1 a Cagliari è la corriera più “popolare”. Viaggiare sull’1 vuol dire essere perfettamente integrato nella vita cagliaritana. Chi prende l’1 va a Città Mercato, chi prende l’1 va a mangiare alla mensa universitaria, chi prende l’1 vive in centro, passa davanti al porto ma volendo può arrivare fino a Pirri. Chi prende l’1 può permettersi di rientrare tardi la sera, perché l’1 viaggia fino a tardi e passa in Corso Vittorio Emanuele, la via dei locali notturni. Chi non ha mai preso l’1 è senza dubbio uno sfigato.
Il 2 non esiste; prendere il 2 a Cagliari significa andare a piedi. Si dice: “io prendo il 2!”, si fa “due” con le dita, poi si capovolge la manina e si simulano due piedini che camminano. Chi prende il 2, dovunque debba andare, spesso arriva prima di chi prende l’1 per andare nello stesso posto.
Poi c’è il 3. Il 3 è la corriera dei fighetti, e ovviamente se la tira. Il 3 va al Quartiere del Sole, dove abitano i ricchi cagliaritani. Il 3 passa qualcosa come ogni 3 minuti ed è sempre puntuale, perché le signore che abitano al quartiere del sole non possono stare ad aspettare troppo sotto al sole. Sul 3 non sale mai il controllore, primo perché i controllori non sono illimitati e sono troppo impegnati a mettere multe sull’1, e poi perché sarebbe lavoro sprecato perché quelli che prendono il 3 tanto hanno la tessera. E se capita che queste persone salgono sull’1 guardano con disprezzo i poveracci che prendono la multa. Ma non capita spesso che la signora del quartiere del sole salga sull’1, c’è puzza.
Il 4 non esiste. A limite potrebbe voler dire andare a piedi con un amico.
Ed eccoci arrivati al mitico 5, quello che un tempo era 5/12 e poi qualcuno si è accorto dell’idiozia e l’ha fatto diventare semplicemente 5.
Se prendi il 5 sei uno studente pendolare, perché il 5 va dalla Stazione dei treni al Magistero passando per Ingegneria e poi torna indietro.
Sul 5 si sentono sempre gli stessi discorsi: esami andati bene, esami andati male, esami andati così così Esami che potevano andare meglio ed esami che potevano andare peggio. Nomi di professori simpatici e stronzi, lezioni pesanti e lezioni divertenti.
L’autista del 5 potrebbe prendere una laurea ad honorem in una decina di corsi, senza mai aprire libro.
Il 6 è la corriera che va a Genneruxi, altro quartiere abbastanza benestante, anche se meno fighetto del Quartiere del Sole; forse per il nome meno fighetto o forse per la sua vicinanza al cep. Il 6 è molto meno frequente del 3 e molto meno frequentato. Forse, ma è solo un’ipotesi, gli abitanti di Genneruxi escono meno degli abitanti del Quartiere del Sole?
Il 7 è chiamato anche Pollicino per le sue dimensioni ridottissime. Sul Pollicino ci staranno sì e no una decina di persone, ma non credo si siano mai trovate dieci persone, tutte assieme sul 7. Fa un giro strano, tipo zona Castello. I cagliaritani non vanno a visitare il Castello, e i turisti prendono il bus turistico, non il 7!
E un posto d’onore spetta sicuramente all’8. C’è persino un gruppo su Facebook che raccoglie tutti i fans della corriera numero 8 che va dalla Stazione dei treni alla Cittadella Universitaria di Monserrato, facendo un giro sfigatissimo di salite e discese e pianure e colline che tutte le volte ti chiedi “Ce la farà o non ce la farà?”. Se sull’8 ci stanno 50 persone ne trovi in media 200, quelli dei quattro 8 che non sono passati prima. L’8 dovrebbe passare ogni 15 minuti, ma se passa ogni 50 minuti sei già fortunato. Nessuno sa perché e per come, ma è cosi, l’8 è l’autobus che tutti sanno che esiste ma in pochi lo vedono passare.
Il 9 è l’extraurbano che va da Cagliari a Decimomannu, passando per Assemini. Anche il 9 è sempre pieno perché lo prendono tutti i lavoratori di Assemini e Decimo e le lavoratrici di Viale Elmas.
Il 10 è l’autobus sempre puntuale, sempre pulito, sempre comodo, sempre nuovo e sempre vuoto. Fa un tragitto brevissimo e passa per la zona pedonale. Fa un tragitto brevissimo in un tempo lunghissimo perché cammina a passo d’uomo, ma a passo d’uomo che passeggia e guarda le vetrine. Il 10 passeggia e fa le vasche in via Garibaldi, è perfettamente inutile prendere il 10 perché chi va in via Garibaldi va per negozi, e se non vai per negozi e vai ad esempio a lavorare ti conviene comunque prendere il 2.
L’11 è l’autobus che va a Calamosca, alla caserma. Potrebbe anche essere un autobus interessante ma ai miei tempi in tanti si sarebbero chiesti che ci faceva una ragazza sull’11.
Il 13 è la corriera che fa il giro degli ospedali; puntualissimo, tanto che puoi scendere di casa un minuto prima che parta, età media 85 anni, discorsi che ti fanno venire la depressione: visite, esami, malattie, parenti ricoverati. Sul 13 ovviamente stai sempre in piedi se hai meno di 80 anni e devi fare solo una visita oculistica.
Saltando qualche numero si arriva al 30 e al 31. Il 30 e il 31 sono filobus, e ogni tanto il filo si stacca e l’autista deve scendere per riattaccarlo bloccando il traffico nella via più trafficata di Cagliari. Vanno entrambi nello stesso posto, facendo un pezzo del tragitto assieme e dividendosi successivamente per passare uno per la periferia est, l’altro per la periferia ovest, poi si incrociano e si scambiano la direzione per rientrare entrambi al punto di partenza. Sembra uno strano balletto che si potrebbe anche evitare, unendo le due linee in una sola, magari un pochino più puntuale!
Se i numeri non bastano ci sono le lettere: M, PQ e PF.
Molto coerenti, molto ordinati, molto lineari.
M= Monserrato; PQ= Poetto-Quartu; PF= Poetto-Flumini. Sembrerebbero le uniche corriere ad avere un senso.
Ho trascurato alcune corriere non molto significative per la mia carriera di donna in corriera: ad esempio il 16 che va alla Motorizzazione civile, che passa ogni 50 minuti dalle 9 alle 15 e se non riesci a prendere l’ultimo sei nei casini. Se non ti fanno dormire alla Motorizzazione puoi farti ospitare al campo nomadi lì vicino. Alla Motorizzazione è quindi meglio andarci in macchina anche se è un controsenso perché si va alla Motorizzazione per prendere la patente. Meglio prendere la patente in autoscuola.
Ho lasciato Cagliari tre anni fa e continuo a inseguire la mia corriera. Dopo un anno di gavetta col 14 e il 21 mi posso rilassare col 29, sempre vuoto e sempre puntuale, posso viaggiare con le vecchine bolognesi di San Mamolo e rischiare di spezzarmi il collo quando sono in ritardo, slittando sui ghiacci dei colli bolognesi.
Tutto per non rischiare di perdere la mia importante corriera.
Testo di Delfina Solinas
Tags: Delfina Solinas, donne in carriera, donne in corriera, trip
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Microstoria quotidiana. Faccia da pechinese
maggio 26th, 2011 Posted 16:02
Salgo sul treno, davanti a me sale un vecchio. Entriamo nello scompartimento. Un bambino dice al padre: “E’ vecchio quel signore. Ha la faccia che sembra un cagnolino”. Il padre: “Marco non si dicono queste cose”. “Ma è vero- insiste il bambino- ha la faccia che sembra…”
Lo guardo. Ha ragione. E’ perfetto. Il vecchio ha la faccia sputata a quella di un pechinese. Il vecchio si siede. Non dice niente.
Il bambino: “Perché respira forte?”
“E’ stanco – dice il padre. “Ha la faccia da cagnolino”. Niente. Il bambino non si schioda da lì. Poi passa a me che intanto mi sono seduta. Guarda fisso. Io uguale. Penso: “Ti prego bambino non dire niente altrimenti sarò costretta a dire a tuo padre me lo può prestare che voglio vedermi perfetta attraverso gli occhi di suo figlio? Non dice niente. Gli va di culo. Ma secondo me l’ha nasata. E io continuo a viaggiare nella mia ignoranza.
Tags: bambino, faccia, ignoranza, microstoria, pechinese, perfetto, quotidiano, treno, vecchio, verità
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Sulla prostituzione e la vendita del sè
maggio 20th, 2011 Posted 18:12
La notizia, tra quelle lette oggi, che più mi ha colpita è stata quella riguardante un presunto “viaggio-premio” goduto dai migliori manager di una filiale di una nota azienda tedesca consistente in un “seminario motivazionale” alle terme di Budapest con una ventina di prostitute. L’azienda ha preso le distanze dal fatto, assicurando che gli organizzatori delle serate “motivazionali” con incontri sexy, non lavorano più per la nota azienda.
Ad ogni modo, per completezza informativa, la notizia la potete leggere qui
Quello che a noi interessa è che è nato un dibattito dai toni anche accesi, tra me e alcuni amici, sul tema della prostituzione dove sono emersi diversi punti di vista tra cui quello secondo il quale per alcune donne la prostituzione sarebbe un mestiere molto redditizio e liberamente scelto.
Il mio primo pensiero di fronte a questo punto di vista, è andato a Pasolini. Non so perché, ma mi sono immaginata un Pasolini che, camminando sulla spiaggia, diceva:
“Non è questa la libertà che io immagino.”
Strani pensieri, strane correnti, strane arie, quelle che mi passano per la testa…
La prostituzione può essere davvero pensato come un mestiere (si dice sempre che il più vecchio del mondo) o, in uno Stato di diritto quale l’Italia è, la prostituzione è soltanto una piaga sociale da combattere? Chiediamocelo.
Ma le cose stanno così, si dice. E bisogna prenderne atto. Ma lo stato di fatto non può essere forse cambiato anziché accettato o peggio subito? Domanda.
E se io affermo di essere libera di decidere di prostituirmi, sono veramente libera? Chiediamoci anche questo.
Non è questa la libertà che io immagino.
E’ possibile immaginare il sé in vendita?
Di fronte alla parola libertà utilizzata in relazione alla decisione di prostituirsi, ho delle considerazioni personali da fare:
Dico che la libertà è piena solo se non subisce condizionamento e mi pare che il denaro sia un forte condizionamento. Dico anche che molte delle decisioni che ciascuno prende nella sua quotidianità probabilmente non sono libere, ma decidere di mettere in vendita il sé è forse la decisione più infelice. Qualcuno dirà che è il corpo ad essere messo in vendita, io dico che il corpo è parte del sé e dell’integrità dell’individuo ed è l’unica cosa che l’individuo ha, il sé, nella sua integrità. Penso che sia una sciocchezza quando una donna dice che lo fa per i soldi e quello che interessa il suo corpo non interessa la sua mente, penso che una borsa di Gucci o 2mila euro non valgano la libertà del sé. Penso che sia la più grande illusione camuffata da libertà. La si chiama libertà perché è più facile e si argina la sofferenza del sé.
No, non è questa la libertà che immagino che se le libertà fossero tutte, non vi sarebbe libertà.
Riuscite ancora adesso ad immaginare il sé in vendita?
Io mi rispondo: solo da morti, probabilmente, perché da vivi parte del sé non rispetterebbe la cessione.
Chissà cosa pensate voi, ma qualunque cosa pensiate non vi stancate mai di pensare da sé.
Pensate e siate liberi.
Dedicato a tutte le donne pensate con amore
E Pasolini adesso è sempre lì sulla spiaggia, ma sta dicendo:
“Sì, è questa la libertà che io immagino”.
Tags: dibattito, libertà, notizie, opinioni, Pasolini, prostituzione, riflessioni, seminario motivazionale, vendita del sé
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Prima della birra
maggio 15th, 2011 Posted 15:20
- Sei solare stasera.
- C’è una parola tra tutte quelle al mondo che non voglio sentirmi dire.
- E’ vero me l’hai detto, solare.
- Ecco.
- Ma pensaci, sei come il sole, bellissima, di una bellezza accecante che non si può guardare. Solo al tramonto.
- Mi stai guardando. Quindi sono al tramonto, immagino.
Ride.
Poi inizia a raccontarmi il vecchio e il mare, la descrizione che fa il vecchio del sole, sul mare, l’alba e il tramonto. L’alba non si può guardare – dice.
E’ notte, tira il vento e stiamo andando in un locale. Lui fa l’ingegnere, io sono innamorata.
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Ascoltando Alda e poi me stessa – omaggio ad Alda Merini
marzo 29th, 2011 Posted 19:29
Il tempo passa lento nella mia mente
Una voglia d’estate si impone sulla
scena di un film o sul cinguettìo fuori sui tetti o sulla luce,
su tutta questa luce a giorno.
Ho scoperto il mio nome , quello che credo che sia ma non so scriverlo bene.
Il cuore mi batte e il motivo non c’è.
M’agito. Voglio rimanere immobile. Mi piace questa calma dove non c’è niente se non una casa e una tenda da lavare.
Da levare contro voglia. Il vuoto l’ordine mi fanno sentire il controllo.
Ma io lo so che è illusione.
Mi ascolto piano, qui, non c’è fretta, ma quanto potrebbe durare? Mi manca chi mi può indicare, aiutare. Non con le parole. Quelle sono tutte mie e tante ma hanno paura ad uscire, sotto questa luce.
M’agito. Ecco, lo senti il cuore che matto?
Prima parlavo ascoltavo pensavo: ascolta bene il suo ruolo. Interpreta il suo ruolo.
Qual è il mio?
E questa pace che devo abbandonare l’indomani per ritmi che non riconosco. Mi fa paura non ritornare.
Mi fa paura che torno matta, leggesi “normale”.
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Per la serie: m’ama non m’ama, ma sì, valà che m’ama
marzo 24th, 2011 Posted 17:38
Prima cosa sotto la doccia (non capisco quelli che se stanno male non si lavano). Retaggio culturale dei tempi che furono? Appunto. Adesso l’Italia è unificata. Ci hanno fatto la festa. Così stasera no teatro, no parti. Anche se io, già l’ho detto ieri, inizio a recitare “Il malato precario orizzontale”. Poi un altro giorno ve lo spiego. Dunque sotto la doccia ho confuso bagnoschiuma e shampoo?… e mi sono lavata la testa con l’offertone di mezzo chilo di Sensual aroma terapy che dentro ha l’olio essenziale della rosa del Marocco. Ho la testa che pare un suk (mercato) e ho preferito non andare dal dottore, un po’ per il dolore, un po’ per la paura che mi reimpatriassero là. Ho “fatto per telefono”, con il dottore, che ha capito tosse, perché anche se non ho detto la parola, era inequivocabile il problema. Ho detto le parole: febbre, peso e tachi…1000. Avanzata. Stasera non vado al primo incontro di Teatro. Il viola non è servito. Due settimane fa stava male il Maestro, poi qualcuno ha deciso che il 17 si festeggiava l’unione magna italica, oggi sto male io. La domanda è: perché non mi chiamo Margherita?
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Estratti dal romanzo di Enrico Carrea. Presentazione romanzo in data 30 marzo a Genova
marzo 15th, 2011 Posted 16:41
Bernard è per l’appunto in prima fila vicino a Jacques quando è stato dato l’ordine di attaccare ed aggirare il nemico. Tutta la compagnia s’è quindi mossa come un sol uomo a cercare il contatto col nemico.
Quasi correndo all’impazzata e brandendo la pesante spada, il giovane si è dapprima trovato di fronte un musulmano con un turbante nero, due occhi spiritati ed una lunga barba anch’essa nera.
Con un colpo secco e preciso, gli ha mozzato con ferocia la testa, che il sangue dell’infedele gli ha imbrattato sia la lama della spada che la cotta. Poi ancora, urlando come un invasato, ha freddato altri due nemici, menando colpi all’impazzata. Il quarto lo ha sventrato e quello è caduto ginocchioni, nel vano tentativo di rimettere al loro posto le budella ormai irrimediabilmente fuoruscite, morendo infine nel proprio sangue tra atroci dolori e strazianti lamenti.
Ormai Bernard non è più il ragazzo gentile e benvoluto che tutti conoscono. Ormai Bernard è una belva assetata di sangue che nulla e nessuno potrebbe fermare.
Jacques lo ha visto e ne ha avuto paura. Ben conosce, il vecchio soldato, quelle metamorfosi; molte ne ha viste nella sua carriera, ma mai così potenti e furibonde, tanto che ha deciso di intervenire. Gli si è parato davanti all’improvviso e gli ha appioppato due pesanti ceffoni sulle guance urlandogli:
– Torna in te, Bernard, torna in te! E’ tutto finito.
Quello lo ha guardato con uno sguardo stravolto e stralunato, ancora incapace di intendere ciò che Jacques gli stava gridando. Poi, come appena uscito da un incubo cattivo, ha avuto un fremito, si è riscosso e finalmente i suoi occhi hanno visto.
Hanno visto morti e moribondi ricoprire il campo di battaglia, e il sangue arrossare indifferentemente l’erba e i corpi ormai esanimi e senza vita; hanno visto l’orrore di un angolo di inferno che il diavolo, tramite gli uomini, ha voluto portare su quel pezzo di terra così dolce e soave.
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È il pomeriggio di un giorno d’aprile dell’anno del Signore 1154. Un lieve vento di scirocco sta spingendo una possente nave da trasporto verso il porto di Genova. L’imbarcazione, battente bandiera della repubblica genovese, proviene da Malta, e prima ancora da Cipro e Sidone, dove ha caricato sete e spezie per insaporire le tavole occidentali, merci preziose per i nobili italiani e francesi che sicuramente pagheranno fior di dobloni e zecchini per quelle rarità da poco reintrodotte sul mercato occidentale.
Ma a bordo non vi sono solo merci. La nave porta con sé anche un uomo non comune.
Quest’uomo è infatti un Cavaliere dell’ordine dei Templari, ordine già circonfuso da un alone di mistero, che si è diffuso da qualche decina di anni prendendo spunto dalla difesa del Santo Sepolcro e dalla ricerca del Graal, la santa coppa dove si dice che Gesù abbia bevuto il vino mutandolo nel suo sangue durante l’ultima cena con gli Apostoli prima di affrontare il supplizio della croce.
Bernard de Villeroi – questo il suo nome – ha, al momento del nostro racconto, ventiquattro anni ed è nel pieno della sua giovinezza di uomo d’armi e d’ingegno. Non è altissimo, ma ben proporzionato, con capelli neri solcati da qualche primo raro filo bianco, ed occhi, altrettanto neri, curiosi ed irrequieti che svelano un’intelligenza pronta e tanta curiosità. Il corpo infine appare muscoloso e ben scattante, cosa di cui non c’è di che meravigliarsi essendo egli uomo d’arme e provetto cavaliere.
Appoggiato all’alto parapetto della nave, Bernard osserva l’orizzonte e le coste frastagliate della Liguria.
Il suo pensiero corre invece dietro a ricordi che, da tempo celati negli antri più oscuri della sua memoria, riaffiorano vividi nella sua mente come pezzi disparati di un mosaico bizantino.
Quei ricordi sono portatori di una sorta di malinconia mista a nostalgia che rende l’animo del Templare più debole, come se fosse indifeso di fronte al tumulto interiore che questi sentimenti scatenano.
Avete letto degli estratti del romanzo di Enrico Carrea.
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Il romanzo verrà presentato a Genova mercoledì 30 marzo, alle ore 18.00, presso la Libreria del Porto Antico.
Potete acquistare il romanzo su Lulu. Questo è il link diretto:
https://www.lulu.com/commerce/index.php?fBuyContent=9343297
Tags: cavalieri templari, Enrico Carrea, presentazione romanzo, Santo Graal
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Vi presento Enrico Carrea
marzo 14th, 2011 Posted 17:34
Rispetto al suo libro, Enrico non ha pretese storiografiche come lui stesso dichiara. Tuttavia, ad onor del vero, addentrandosi nella lettura, si ha tutta l’impressione di ritrovarsi immersi nel 1150. Io stessa, dopo un po’ che leggevo e dopo che la mia mente si era abituata a termini oggi inusuali come deicidio, bugliolo, trogolo, mi pareva d’esser in compagnia del Conte di Villeroi, onorato cavaliere templare innamorato di giustizia e verità. E così, senza memoria del momento esatto in cui è successo, Enrico mi ha trascinata nel suo mondo popolato di madamigelle pudiche, di messeri più o meno scaltri, di brutti ceffi, ma anche di uomini compassionevoli e caritatevoli. E ancora, un mondo di nobili, di maestri, di cavalieri templari, di enigmi da decifrare, e misteri di scoprire. E’ successo poi, ad un certo punto, tanto ero coinvolta nella lettura, che mi sia rivolta al prossimo chiedendogli con nonchalanche : « ma dimmi di te, di grazia ». Dico questo, in tono scherzoso, per sottolineare come il linguaggio di questo romanzo sia fondamentale in termini di piacevolezza e leggerezza, quella leggerezza di cui, parafrasando Italo Calvino, sostengo le ragioni. Enrico ha esattamente tolto del peso al linguaggio, che si presenta così fluido, diretto, easy come si usa dire oggi, pur non dimenticando di dare spazio, all’occorrenza, a certe terminologie tecniche, necessarie per conservare la credibilità della narrazione, ambientata appunto nel 1150. Mi sono inoltre chiesta, come spesso succede di chiedersi, quanto di Enrico ci fosse nel protagonista del romanzo, Bernard de Villeroi, e mi sono risposta, una volta giunta al termine del romanzo, che tutti i più nobili sentimenti appartengono ad entrambi, avendo poi avuto modo di conoscere Enrico e, in particolare, il sentimento di gentilezza che lo contraddistingue. Mi riferisco a quella gentilezza d’animo che si confà ad un vero cavaliere, quello di cui si narra in questo libro, ma anche quello che vive dentro ad Enrico. Credo che, oltre agli scenari e alle belle descrizioni dei luoghi e dei personaggi, la vera forza della narrazione di Enrico sia quella di riuscire a trasmettere con un linguaggio semplice un valido insegnamento, in termini di coraggio nell’affrontare la quotidianità. Penso, infine, che questa storia abbia un grande merito : è intrisa d’amore, il più alto sentimento che l’uomo conosca e, permettetemi di dirlo dacché ne son convinta: un libro scritto senza amore, non sarebbe un buon libro. Questo romanzo di Enrico trasuda amore. Amore per la Storia e per la sua storia.
Eccovi un breve estratto, tratto dal romanzo di Enrico Carrea:
Ad un cenno del frate, il brusio della folla cessa e, dopo un attimo di silenzio assoluto, fra’ Guglielmo inizia a parlare:
– Fratelli, sorelle, l’inferno è vicino! La vostra carne brucerà per l’eternità nel fuoco perpetuo che mille diavoli cattivi alimenteranno ogni momento per rendere il supplizio di voi peccatori, più acerbo, e fiero, e duro. E voi ve ne state tranquilli a fare le vostre cose e i vostri negozi… Pazzi siete, e ciechi ed incoscienti! Nell’ora della vostra morte ben chiara vi sarà l’ignominia della vostra vita. In preda al rimorso più assoluto, vi torcerete le mani, digrignerete i denti, urlerete per lo spavento e il disgusto, e vi rotolerete nudi nella polvere e nel fango alfin comprendendo la vostra pazzia di avere rinnegato per sempre il vostro Padre più vero, la fonte dell’eterno amore, quel Dio che vi ha messo al mondo solo per amare e non per seguire le tentazioni del demonio.
– Ma padre – grida il maniscalco – diteci: c’è speranza di redenzione per noi oppure siamo già tutti dannati?
La piccola folla a quelle parole rumoreggia commentando spaventata la predica di fra’ Guglielmo, ma, ad un cenno imperioso del frate, si tacita nuovamente.
– In verità, in verità, vi dico. Tutto l’occidente, la Francia, la Spagna, l’Inghilterra, l’Italia, meriterebbero di essere fulminate dall’ira di Dio per aver permesso che i luoghi sacri che videro la passione di Gesù Cristo, nostro Redentore, fossero di nuovo nelle mani dei musulmani, veri e propri figli di Satana che uccidono, sgozzano, vessano i cristiani, violentandone le donne e riducendo in schiavitù i loro figli. Il Santo Sepolcro, già una volta liberato, è tornato in mano di quegli infedeli che, disconoscendo il vero Dio rivelato dal Vangelo, sono di fatto l’armata del diavolo. Ma Iddio è misericordioso ed ha mandato in terra di Francia un uomo che si appresta ad organizzare una grande armata e a muovere guerra contro i saraceni, turpi servitori del maligno.
Qui fra’ Guglielmo fa una pausa ad effetto, mentre dalla folla dei contadini si levano diverse voci:
– Chi è, dicci chi è.
– Si, frate, di’ chi è quest’uomo.
– Diccelo affinché lo si possa aiutare.
Ad un altro gesto del monaco, tutti si zittiscono nuovamente.
– Il nostro re, Luigi VII, è l’uomo che Dio ha scelto per questo compito gravoso. Egli è pio ed è illuminato dalla luce divina che proviene dal nostro massimo Creatore. Conscio della forza delle armate musulmane, ne sta approntando una possente col fior fiore della nobiltà occidentale e siamo certi che sconfiggerà i seguaci di Satana ricacciandoli nel loro inferno donde son venuti. Occorre però che ogni uomo, donna, bambino alzi le sue preci a Dio implorando la Sua misericordia e chiedendogli di seminare la confusione e la discordia nel campo musulmano affinché la vittoria arrida alle armate della Croce e possa al più presto essere stabilito su Gerusalemme un regno cristiano. Orsù dunque, vi aspetto tutti in chiesa per pregare Iddio per la buona riuscita dell’impresa di re Luigi ed allontanare così da noi lo spettro dell’inferno.
Domani verranno qui pubblicati altri due estratti.
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Il romanzo verrà presentato a Genova mercoledì 30 marzo, alle ore 18.00, presso la Libreria del Porto Antico.
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