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Silvia Castellani

Tra l'essere e il fare, c'è di mezzo il pensare

Archive for ottobre, 2010

Pezzo di qualcosa, in origine documento 1 di Delfina Solinas

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ottobre 21st, 2010 Posted 12:14

Si era svegliata di soprassalto, era stato il telefono a svegliarla ma non era riuscita a rispondere, o forse aveva solo perso troppo tempo a pensare a cosa dire.
Le girava la testa, aveva fame o solo troppi pensieri sovrapposti, reali o immaginari. Aveva dormito tanto, troppo, dopo tre notti d’insonnia.
Ricordava che l’ultimo pensiero prima di addormentarsi era stato: “devo concentrarmi perché se lo voglio davvero…” E poi i pensieri avevano cominciato ad accavallarsi, a sovrapporsi, come le onde del mare in tempesta, come quando il sonno giunge e non sei più padrone della tua mente. Numeri, lettere, colori, immagini, suoni…un viso familiare, rassicurante, e uno più irreale, dai lineamenti confusi, sfumati, come un’immagine vista una sola volta di cui ci si ricorda l’insieme ma non i particolari…e poi il nulla. Il sonno l’aveva rapita e aveva dormito come un sasso, un sonno lungo, senza sogni.
Eppure qualcuno, tempo prima, le aveva detto che non si poteva dormire senza sognare, che si sognava tutte le notti e poi al mattino il sogno si poteva ricordare o dimenticare. Chiunque fosse stata quella persona, come faceva a saperlo? Erano solo teorie.
Non riuscì a trattenere un sorriso. Si rimise sotto le coperte, ora era sveglia e poteva continuare a concentrarsi.Era successo davvero?
In fondo lei ci credeva, ci aveva sempre creduto fin da piccola, quello era il suo mondo dove tutto poteva succedere, e anche se ora non ne era proprio sicura, continuava a crederlo possibile!
Come quando da bambina giocava con le bambole. Mentre sua sorella inventava delle storie fantastiche, e le bambole erano le interpreti di queste storie, lei passava le ore a pettinarle in silenzio; le storie nascevano e crescevano dentro di lei, nel suo mondo. E le bambole, con un pettine e qualche fermacapelli, potevano diventare principesse o zingare, spose o puttane.
Ora avrebbe voluto con tutta se stessa una bambola da pettinare; le avrebbe sciolto i capelli e glieli avrebbe spazzolati a lungo, lentamente e con dolcezza, poi l’avrebbe adagiata su un letto e l’avrebbe cullata fino a farla addormentare, concentrandosi su quel pensiero…e forse allora, sarebbe successo davvero.

"Delfina e io in una delle nostre infinite conversazioni sul nulla" - Foto di Stanford

Il pezzo è di Delfina Solinas

Nella foto scattata da Maria Alai delle Officine Fotografiche “Stanford”: Delfina e io in una delle nostre conversazioni sul nulla cosmico che ci mandano in pezzi. Di qualcosa.

E mi raccomando, illuminati internauti, prima di lasciare questa pagina, non dimenticatevi di scaricare l’altrettanto illuminante e-book gratuito “Sbatti generation”. Ciao e viva l’ironia:) Siempre.

Cari “amici” vi scrivo, così mi riconcentro un po’

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ottobre 20th, 2010 Posted 17:41

Girando in internet e per Facebook, ho trovato un sacco di critiche riguardanti i reality; in questo momento si attacca più facilmente il Grande Fratello, perché è appena cominciato, poi quando più avanti inizierà l’Isola dei Famosi, quegli stessi che oggi sparano critiche (non costruttive) sul Gf, domani spareranno sull’Isola. Insomma, i suddetti sono in balia totale degli eventi, ma fanno finta di dimenticarselo. Quando si attaccano i reality, io mi sento in dovere di fare delle considerazioni, anche dure. A prescindere dal fatto che a me i reality piacciono, le considerazioni le voglio fare perché non si può fare finta di niente quando si leggono miriadi di cazzate. Intanto mi lasciano molto perplessa quelli che sono solo capaci di appellarsi immancabilmente alla celeberrima “basta spegnere la tv”. D’accordo, spegnete questa maledetta tv, ma il problema non lo risolvete così, perché il messaggio televisivo, nel bene e nel male, non lo blocchi con un pulsante del telecomando. Che questo sia chiaro. Allora, invece di lanciare qua e là degli status – slogan per raccogliere dei consensi inutili, a fini pratici, o lanciarsi in discussioni eterne per concludere: “Ma tanto questa è l’Italia!, come a dire che razza di paese di m….a, io penso sia più utile fare qualcosa. Perché sono i fatti che restano e che provano a cambiare, e a volte ci riescono, le cose. Allora, attenendosi ai reality, ma il discorso vale per tutto, eh! Della serie che se io, per esempio, mi faccio sfruttare con lo stage gratuito sperando poi mi diano il lavoro (vai tranquillo/a che è molto probabile che non te lo danno, preferiscono prendere un altro/a stagista), poi posso pure lamentarmi su Fb, ma se rimango a novanta a subire!!! Sono innocuo. Capito? Innocuo. Allora, torniamo al nostro Grande Fratello. Da quanto leggo: pensate che ci sono sempre i soliti stereotipi, che il Grande Fratello, che è il capostipite dei reality, non vi rappresenta pé nniente (vi ricordate Benigni in Johnny Stecchino? Quello…. quello non mi somiglia pè nniente), pensate che il Gf non dovrebbe nemmeno esistere? E però esiste e lo guardano milioni di persone, guarda un po’. Allora, a prescindere dal fatto che a me piace, ma questo è un altro discorso, ragioniamo nella maniera più obiettiva possibile partendo dal fatto che i reality ci sono in Italia e hanno successo. E non tiratemi fuori l’Inghilterra o altri paesi dove, magari, hanno meno successo. Cazzo, viviamo in Italia, stiamo qui sì o no? Ergo: l’unica alternativa seria è entrare in campo, ché a limitarsi al lamento su internet e sui social network non si conclude niente. Per quanto mi riguarda, come ho detto nel video-provino, penso che siano maturi i tempi perché il Gf possa ospitare personalità diverse da quelle che ci siamo abituati a vedere nelle prime dieci edizioni. Penso che ci stiano alla grande la strafiga, pure quella rifatta, il modello, l’imprenditore ventenne (che quindi lo è al 90 per cento con i soldi di papi), penso che ci stia tutto il caso umano e anche l’arrivista. In fondo, la società è anche questa. Ma non solo questa. E io ci tengo proprio a fare un altro “gioco” senza paura di vedere. Poi come va va, l’importante è mettersi nel gioco, crederci, combattere per un’idea, nel mio caso per la Parola. O no?

Con le mie parole sono pronta a fare i fatti. Sono dell’idea che bisogna adattarsi ai tempi in cui si vive anche per farsi conoscere dal punto di vista letterario. E questi, signori, sono tempi da reality. Tenere le parole nel cassetto è forse più dignitoso che volere scrivere un libro in diretta tv? Non credo; trovo anzi che quest’ultima, che ho chiaramente esplicitato nel mio video-provino sia una bella sfida. Questo per dire che se fossi stata una scrittrice ai tempi di Lorenzo il Magnifico, sarei andata a trovarlo a cavallo con la piuma d’oca e la boccia d’inchiostro sotto al braccio a proporgli la mia opera…

Dal vivo sono meglio. E senza pancia. In questa foto è stato un caso

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ottobre 20th, 2010 Posted 11:29

Il Resto del Carlino - 19 ottobre 2010

Impressioni a caldo (ho 38 di febbre) sui concorrenti del Grande Fratello 11

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ottobre 19th, 2010 Posted 12:10

Una prima considerazione dal punto di vista astrologico: troppi acquari puri e troppi sagittari. Si attaccano. Ma io per caso mi intendo di segni zodiacali? Certo che no, ma chissenefrega. Io sento e in questo momento sento che manca una cuspide, ovvero un concorrente nato a cavallo, come la sottoscritta, cavallo pure per l’oroscopo cinese. E veniamo appunto all’oriente. Andrea Cocco potrebbe fare lo stilista, ha un nome perfetto in questo senso e un fascino sopra la media; a prescindere dal fatto che abbia viaggiato, penso sia uno che fa viaggiare la testa. Si vede lontano un miglio che è intelligente e non perché ha fatto il liceo classico che comunque, fidatevi, fa bene. Il gigolò mi ha lasciata interdetta. Evidentemente mi aspettavo un Richard Gere o giù di lì, una specie di tronista mancato, ma poi ho pensato improvvisandomi Fiorello quando imitava l’avvocato Messina nelle sue arringhe difensive: ma chi siamo noi per giudicare, per aspettarci un gigolò piuttosto che un altro? Cosa ne sappiamo noi di questo mondo e di come viene misurata la belta’ dei suoi protagonisti? Poi ci sono la barista, la cubista, la giornalista, il figlio del fu camorrista e, nella mischia, spero salti fuori l’ex seminarista. Insomma, una sfilza di isti da fare paura a cui si aggiunge il padre del nascituro che personalmente non ho ben compreso. Vuole entrare, poi però quando gli dicono che starà un po’ serrado in albergo con la sua Annapaola, dice che va bene così, un po’ come a dire: “ma sì, ma dai, anche se non mi fate entrare va bene lo stesso”. Ma allora, caro il mio violin(ista), te la suoni da solo la messa? Nel senso: sii più convinto, Santo Cielo, altrimenti non convinci nemmeno noi. Gira e rigira torno sempre sul luogo del delitto: dov’è l’ex seminarista? Voglio saperlo. Leggendo le schede di presentazione dei concorrenti sul sito del Grande Fratello, noto che odiano tutti l’ipocrisia, la falsità e l’indifferenza. Ci mancherebbe. Però adesso aspettiamo un paio di settimane, va bene? E poi vediamo chi la spara più grossa. E mi vengono in mente dei lunghi coltelli e allora “forza Cocco, cucinali per le feste!” In senso figurato, s’intende. E come avrete capito, io sono una che prende sempre parte, che parteggio. Io odio gli indifferenti, come Puffo Brontolone e Gramsci. Poi c’è la salentina, che mi ricorda la Romina Power dei primi anni ‘80. La sua macro-ossessione è la taranta. Chiunque incontra, se vuole diventare suo amico, deve fare un balletto pizzicato, altrimenti non ha speranza. Veniamo a David. Appena l’ho visto ho pensato fosse sui trampoli e facesse il giocoliere. Bretelle-dipendente non passa inosservato. Allegro e positivo (?), non ha mancato di sottolineare a più riprese come il formaggio facesse schifo e, ancora, che non è mica un gatto, lui, che può stare al buio. Io ce l’ho in mente un tipo di gatto che potrebbe descriverlo al meglio, ma è più saggio aspettare, magari si trasforma nella tartaruga Oogway di Kung Fu Panda e mi illumina con motti del tipo: “ti preoccupi troppo di ciò che era e di ciò che sarà. Ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi è un dono. Per questo si chiama presente”. Altro da quello che leggo nella sua scheda: “impara dal passato, vivi il presente e sogna il futuro”. Sulla redattrice del giornale locale (quella col cappello da pittrice, che la devi chiamare LaCri per forza e invece a me piacerebbe chiamarla Giuda e baciarla) e sulla giornalista di gossip (quella della “mutanda giusta” e che a lei nessuno gliela fa sotto al naso) non commento più di tanto. In fondo, cosa servirebbe negare, sono due nemiche nel senso che se entrassi nella casa, le nominerei fisse per togliermele dalle palle perché la vera scrittrice, nonché pensatrice cre-attiva, è una, non nessuna, ma nemmeno centomila. Figuriamoci tre. E adesso mi impongo di fermare le mani, altrimenti se continuo a muoverle sulla tastiera, faccio una strage delle due innocenti. Spendo due parole, esattamente due, sull’emiliano-romagnolo: anche no.

Immagine 3

Pensierino della sera. Di questa sera

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ottobre 18th, 2010 Posted 19:41

E’ il 18 ottobre 2010. Sono gelata congelata. Oggi ho preso freddo e ho preso pure un paio di aspirine. Ho la febbre, ma non la misuro. Vado avanti con la mia temperatura. Penso che tra un paio d’ore nemmeno inizia Grande Fratello 11 e lo guarderò attentamente per vedere chi c’è quest’anno dentro la casa, perché sono curiosa come una scimmia e perché in quella casa vorrei entrarci anch’io. Altrimenti non avrei fatto il provino on-line che tra l’altro sta riscuotendo un certo interesse. Ho fatto il provino perché ci credo, perché sono una pensatrice cre-attiva, una scrittrice, perché mi interessa scrivere sul serio,La pensatrice cre-attiva mettermi alla prova, sottopormi al giudizio delle persone e un reality è un banco di prova serio, è anche la realtà del giorno d’oggi. Non si può fare finta di niente, non si può pensare che il Grande Fratello, così come gli altri reality non giochino una parte importante nella comunicazione attuale. Scrivere un libro all’interno della casa sarebbe un atto rivoluzionario dal punto di vista culturale e io me la sento di affrontare una sfida del genere. Forse sono pazza. Forse è la febbre. Anche se non è sabato sera.

Se anche voi credete che quest’impresa sia rischiosa e valga la pena sostenerla, votatemi.

In fondo lo diceva anche Oscar Wilde che “un’idea che non è pericolosa è indegna di chiamarsi idea”.

Andate sul sito grandefratellocasting.it, cercatemi per nome e cognome e troverete il mio video provino e le modalità per votarmi.

ULTIME VOLONTA’ di ADRIANO PETRUCCI

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ottobre 2nd, 2010 Posted 13:22

Adriano Petrucci, acrilico e fusagine su tela, cm 80  110 cm, 2007

Quaglia si era rotto il femore.

Anzi, fratturato suona meglio.

In ogni caso, era ricoverato all’ospedale dell’Isola Tiberina. Sono gli anziani, di solito, ad avere questo problema con l’osso più lungo del corpo. Quando cadono, spesso e volentieri si rompono il femore. Anzi,  se lo fratturano, che suona meglio. Mia nonna, anziana signora a cui ancora non si è fratturato il femore, dice, forte della sua sapienza secolare, che: i vecchi cadono perché il femore si rompe e non il contrario. Certo è che leggenda vuole che i vecchi cadano e si rompano il femore e per me va bene cosi.

Tornando a Quaglia, era ricoverato per un femore fratturato, ma non aveva novant’anni. Siamo coetanei, anzi credo di essere più grande di lui di almeno un annetto suonato.

Alla nostra veneranda età di ventisette anni, sembra quasi impossibile fratturarsi l’osso che per antonomasia è l’osso simbolo della piaga dell’età, eppure il Quaglia era a letto, con un paio di chiodi infilati nelle carni vive. Sicuramente se l’era rotto ballando sul tavolo con una birra in mano, oppure era caduto dalla finestra.

Non era uno che tendeva al suicidio. Amava solo sedersi da ubriaco sul cornicione della sua finestra. Abitava al primo piano perciò il pericolo era minimo e al Quaglia ubriaco piaceva tanto provare quell’ebbrezza del vuoto, mentre vuotava l’ennesima bottiglia di birra. Ma tutta quella ebbrezza,  si tramutò, quella volta, in mancato equilibrio omicida. Commozione cerebrale e femore fratturato, guaribile in non so quanti giorni, anzi non mi interessava nemmeno. La commozione cerebrale non l’accusò nemmeno, anche perché non era un romantico. Il femore fratturato e inchiodato, poco incline alla commozione ma inspiegabilmente a favore delle piaghe da decubito, lo immobilizzò al suo letto d’ospedale.

Il mio dovere era quello di andarlo a trovare, sperando che non mi concedesse l’eterno bis della storia che lui amava raccontare più e più volte, anche durante la stessa serata. La storia parlava di quella volta che allo zoo o al giardino zoologico o meglio ancora, al bioparco, si trovò davanti ad un orango fuggito dalla sua gabbia. La storia raccontava della battaglia psicologica, della lotta di sguardi tra i due primate e di come, grazie al suo sguardo da animale feroce, riuscì a intimorire l’orango e a riportarlo nella sua gabbia a calci nel sedere.

“Mi scusi, si può salire a far visita ad una persona, oppure è finito l’orario?”

“Prego, salga pure” disse l’infermiera anziana, ma ancora giovanile.

Terzo piano.

Odio gli ospedali.

Spinsi con il gomito la porta del reparto di ortopedia. Non amo toccare le maniglie e le porte degli ospedali. Corridoio lunghissimo, con mura e soffitto bui tendenti al verde. Ogni tanto qualche sedia con anziani in pigiama faceva da arredamento al nudo corridoio.

Mentre andavo verso la stanza numero trentasette, lanciavo rapide occhiate dentro le stanze aperte e fui scosso dalla la tristezza.

“…Lei non può capire la paura che avevo in quel momento, davanti a quella scimmia. Pensai però a raccogliere tutta la mia ferocia e cercai di incanalarla nei miei bulbi oculari sfidando la scimmia in un duello arcaicamente istintivo…”. La vecchia storia dell’orango.

“Permesso?”

“Adriano! Vieni vieni, accomodati qui ai piedi del letto. Scusa, ma sto finendo di raccontare questa storia alle signore”

“Fai, fai…”.

Quelle povere malcapitate, sicuramente erano venute a far visita al vecchio che divideva la stanza con il Quaglia. Una doveva essere la vecchia moglie e l’altra la matura figlia, sicuramente zitella. Erano entrambe rapite dall’avventuroso racconto del mio amico. A lui piaceva tantissimo gesticolare mentre raccontava, ed aveva una mimica facciale di indubbio valore. Le voci poi le faceva benissimo, soprattutto quella dell’orango. Era arrivato verso la fine. Uno dei pezzi che preferivo perché, mentre raccontava di quando calciava quel povero animale nel deretano, rideva e gesticolava come non aveva mai gesticolato in tutta la storia e diceva “non ci provare più scimmia di merda! Non ci provare più che ti rompo il culo! Prendi! Prendi!”.

“Allora? Come stai?”

“Bene Adri”.

In pochi mi chiamano Adri, si contano sulla punta delle dita.

“Quando ti fanno uscire?”

“E chi lo sa?”

“Non sei annoiato a stare sempre a letto?”

“No, ma quale letto; io spesso prendo la sedia a rotelle e me ne vado a fare un giro…”

Non pensavo  si potesse girare con un femore rotto.

“Ma dove vai! Non ti muovere che c’hai tutti quei chiodi nella gamba”

“Coscia, amico mio. La gamba è la parte inferiore” Avevamo fatto anatomia insieme e a lui piaceva tantissimo correggermi quando parlavo di anatomia in modo poco tecnico.

“Senti, allungami un po’ la sedia a rotelle che me ne vado un attimo al bagno…”

Ero così curioso di vedere come si sarebbe catapultato su quella sediaccia che gliela porsi immediatamente. Agile come un orango, scimmiottò, scimpanzò, balzò dal letto alla seggiola senza troppo sforzo. Ne ero contento, soprattutto perché così non dovevo aiutarlo a fare pipì con il pappagallo.

Si sa che i pappagalli e le scimmie non legano.

“Non te ne andare, torno tra poco”.

Uscì dalla stanza per andare in bagno, invece di usare il gabinetto che aveva in comune con il vecchio che nel frattempo era rimasto solo.

Forse per pietà, mi misi a guardare i lividi sul dorso della mano dell’anziano dovuti all’ago della flebo. Il suo colorito era verde bottiglia. Sicuramente si trattava di un malato terminale finito in ortopedia chissà per quale oscuro motivo.

Sbarrò gli occhi e mi fissò.

“Che c’è?” chiesi innervosito.

“Vieni qua per favore, qua vicino”.

Mi alzai e andai verso di lui.

“Siediti qua”  e mi indicò con il dito la sedia che poco prima occupava sua moglie.

“Eccomi qua…” mi accomodai. Tossii forte, troppo forte per la sua debole scorza. Mi guardò ansimante.

“Sentimi bene…”

“Aspetta. Se hai intenzione di regalare a me le tue ultime parole caschi veramente male”

“Cosa?”

“Ti ripeto di non sperare che io vada alla ricerca di qualche tuo figlio illegittimo o a cercare un tesoro che avevi sepolto da giovane, oppure…”

Mi interruppe: “sei proprio uno stronzo, lo sai questo?” “Lo so. Noi giovani siamo sempre un po’ stronzi ed egoisti”.

Odio i giovani proprio per questo motivo, ma davanti a questo vecchio mi schierai con il nemico.

“Lascia perdere. Volevo chiederti solamente un bicchiere d’acqua” disse, indicandomi con un cenno del capo una bottiglia di plastica ed un bicchiere sempre di plastica sul comodino vicino al letto.

“Non potevi dirmelo prima che volevi dell’acqua?”.

Dare da bere agli assetati è doveroso. Dare da bere agli ammalati è ancora più doveroso. Dare da bere ad un vecchio sia assetato che ammalato, mi avrebbe fatto guadagnare molti punti agli occhi del Signore.

“Ce la fai a bere da solo?” gli porsi il bicchiere riempito per metà.

“Ma è mezzo vuoto questo bicchiere”

“Sei un pessimista quindi”

“Perché tu lo vedi mezzo pieno?”

“E’ per forza mezzo pieno, perché l’ho riempito solo per metà. Se fosse stato pieno e avessi bevuto un sorso d’acqua, allora sì che si sarebbe trattato di un bicchiere mezzo vuoto, ma d’altronde è normale che tu sia pessimista, data l’età e il luogo in cui ti ritrovi”

“Data la mia età? Ma sai per caso quanti anni ho io?” “Centocinquanta?”

“Settantanove”

“E allora?”

“E allora spera di arrivare tu alla mia età come ci sono arrivato io”

“A settantanove anni in un letto di ospedale? Spero di morire prima”.

Ci guardammo per qualche secondo, poi continuò:

“Me lo dai o no questo bicchiere d’acqua?”

“Ce la fai a bere da solo? O vuoi che ti faccio bere io?” “Saresti capace di affogarmi”

“Saresti invece tu, capace di strozzarti con questa lacrima di acqua”

“Insomma, non la voglio più quest’acqua. Mi hai fatto passare la sete”.

Odio gli anziani. Sembrano come i bambini, sempre pronti a creare dei problemi, sempre imbronciati, sempre scontenti. Gli anziani sono proprio come i bambini e tu non puoi che comportarti con loro da adulto. Salvo l’eccezione. Io odio comportarmi da adulto con i bambini e di conseguenza con gli anziani. Io sono l’eccezione e se il caro Quaglia non fosse tornato al più presto, avrei sculacciato quel vecchio bambino e l’avrei lasciato senza cena.

“Perché ti trovi qui?” provai a mediare, anche perché di tanto in tanto passavano davanti la porta alcuni infermieri di guardia e, se avessero scoperto che torturavo psicologicamente un povero vecchio, me la sarei passata brutta. “Che ti importa…”

Avevo forse toccato un tasto dolente. Se a un tizio in ospedale chiedi il perché del suo ricovero, penserà sempre al momento prima dell’incidente con languida malinconia. Un po’ come chiedere ad un carcerato il motivo della sua reclusione.

“Due mesi fa sono…”

“… e allora guardai quella scimmia di merda negli occhi. Capii subito che psicologicamente l’avevo ormai soggiogata. Non mi rimaneva che riconfinarla a calci in culo nella gabbia da dove era fuggita…”

Mi voltai. Il Quaglia, stanco di deambulare sulla sua vettura a trazione umana, si era fatto spingere da un’infermiera e aveva pensato di ricompensarla raccontandole la storia più appassionante e avventurosa che conosceva.

“Mi scusi signore”

L’infermiera si era rivolta a me, “Dovrebbe lasciare la stanza perché sta passando il dottore per le visite, poi sarà servito il pranzo”.

Mi stavano cacciando. Meglio, io odio gli ospedali. “Adri mi dispiace, ma sai che negli ospedali sono “rigidi”. Ci vediamo domani?”

“Sì Quaglia, tranquillo. Rimettiti, mi raccomando”. Salutai il mio amico e mi voltai verso il vecchio. Stava forse per rivelarmi la storia più triste che avessi mai sentito. Una storia di dolore e morte, ma era stato interrotto dal finale di una storia tra il mitologico e il trash.

“Buongiorno signori”

Il dottore fece la sua comparsa con indosso il camice immacolato e la cartelletta in mano.

“Buongiorno dottore, me ne vado subito”

Uscii dalla stanza.

“Allora, signor Quaglia, cosa mi racconta?”

Riuscii a sentire la domanda che avrebbe condannato il dottore ad ascoltare la storia famosa dell’orango. Chissà quante volte l’aveva ascoltata il povero compagno di stanza del mio amico.

Pian terreno.

Racconto e illustrazione di Adriano Petrucci