Influenza intestinale quando marzo sembra agosto di ADRIANO PETRUCCI
Oggi questo blog si apre all’Altro nella persona di Adriano Petrucci, che inaugura una nuova stagione, che chiameremo “Così io mi esprimo” che vedrà protagonisti alcuni contributi esterni di amanti della Parola e non solo. Adriano è un ragazzo che ama scrivere, che racconta, anche tramite le proprie illustrazioni, delle storie. Ho conosciuto Adriano per caso, chiedendogli l’amicizia su Facebook. Mi incuriosiva l’illustrazione del suo profilo. E siamo diventati amici. E ci siamo raccontati un po’ di cose. Poi ho letto un suo racconto “Influenza intestinale quando marzo sembra agosto” che fa parte di un più ampio ciclo di racconti trash. Ne ho apprezzato l’originalità e il coraggio nell’affrontare temi non scontati. Oggi Adriano è qui con noi, con le sue parole, con la sua arte di illustrare un fervido mondo interiore. Sì Adriano, la risposta è sì, ci credo.
L’eleganza sta nel fatto che, nonostante avesse dalla sua un’età avanzata, non si privava dei piccoli piaceri della vita. Descrizione: alta poco più di un metro e mezzo, visibilmente provata dal passare delle stagioni, una manciata di rossi capelli sulla sommità del capo, degli indumenti che non lasciavano nulla all’immaginazione (nel senso che coprivano così bene che era meglio non immaginare cosa ci fosse sotto la veste…) e un classico tocco di trash nelle scarpe da lavoro a punta quadrata. Non avendo potuto condurre una vita soddisfacente e privata delle frivolezze adolescenziali, questa donna cominciò a “comportarsi allegramente” all’età di 65 anni. Emozionata ogni volta che aveva un appuntamento, si metteva davanti allo specchio nel suo bagno di 3 metri quadrati e, seduta sul lavandino, iniziava a truccarsi gli occhi. Il matitone nero lasciava frenate sulle palpebre grezze e rugose che sembrava di sentirle, quelle frenate, poco fuori di casa, all’incrocio di piazzale delle Babbione dove, attaccate ad un albero ci sono tante targhe e fiori marci, in memoria dei morti sfracellati per strada. Il suo colore naturale di capelli, il rosso, andava a nozze con il rossetto. Le piaceva tanto quel colore; apriva lo stick, faceva scivolare fuori il rossetto, ormai ridotto a moncherino lucido e appiccicaticcio, e se lo passava sulle labbra, un tempo carnose e floride, disegnando un passato sorriso sulla bocca ormai sformata dall’età. Quello specchio, in superficie opaco, sporco e segnato anch’esso dal tempo, rifletteva il coraggio della donna, la voglia di rimettersi in gioco nonostante fosse svantaggiata psicologicamente e fisicamente, la voglia di rivalsa su chissà cosa, il riscatto di una giovinezza mai goduta. Uscì dal bagno, ciabattando sulla moquette grigia appiccicata al pavimento. Un accappatoio infeltrito e inamidato l’avvolgeva in tutti i suoi pochi centimetri d’altezza. Sul letto, sdraiato come esanime, un vestito “bomba” scelto apposta per la serata. Nero, con margherite giganti sparse un po’ ovunque. Una scollatura audace era, secondo lei, l’arma segreta, quella che avrebbe colpito immediatamente; “…di sicuro, sì, ci resterà di stucco…” disse come una bambina emozionata la sera prima della festa del papà. Si levò l’accappatoio di dosso, sentì una sensazione mista a vergogna ed eccitazione là dove l’aria la fasciava, toccandola dove mai nessuno aveva osato. Il suo sguardo fu poi attratto dallo specchio vicino alla finestra…
…osservò il suo corpo.
I suoi seni floridi oramai divenute delle buste di carne vuote e grinzose, sventolavano come foglie morte facendo da cornice ad uno sterno ossuto e visibile sotto la grezza e vecchia pelle ; le gambe, fragili e tremolanti, finemente decorate da vene di ogni colore e grandezza, erano strette, per coprire il delta di Venere, imbacuccato nella folta pelliccia pubica. “ … ”
Cominciò ad infilarsi il lungo e provocatorio vestito nero a margherite giganti; riemergendo poi dalla scollatura, tirò un sospiro di sollievo notando che veramente era l’ora di imporsi con la propria fisicità. Chissà cosa l’attendeva fuori, non solamente fuori a cena, ma addirittura fuori la porta. Si sedette sul letto che cigolò impercettibilmente sotto il suo piccolo peso; accanto a lei, l’accappatoio bagnato inumidiva la trapunta di piume d’oca facendo marcire, a lungo andare, la coperta. S’infilò delle scarpe all’apparenza troppo chic, aperte, con un tacco alto almeno 7 centimetri, rosse sangue e con la punta aperta; le dita fuoriuscivano timide dalle scarpe. Si levò.
Era infine pronta per la bellissima serata.
Percorse le poco illuminate scale del condominio dove abitava, vecchie case popolari dimenticate da Dio, stando molto attenta a non inciampare tra un gradino e l’altro; non nascondeva una certa voglia di giungere al pian terreno, aprire il pesante portone di ferro battuto ed osservare tutta inorgoglita il suo cavaliere in attesa della sua dama. Durante la discesa, passando dalla rampa di scale al pianerottolo, i tacchi facevano il loro porco rumore nel silenzio della tromba delle scale. Prima che riuscisse a percorrere l’ultima rampa, velocemente, come fosse stato appostato dietro l’uscio, in attesa da ore, fece capolino il signor Marannino:
“Ma come siamo belle questa sera, dove va ad una festa?!” chiese il vecchio uomo fuoriuscendo con scatto felino da dietro la porta. I suoi piccolissimi occhiali bifocali scintillavano nella fredda luce delle scale. “Bé, vede signor Marannino, questa sera ho un appuntamento galante, con un uomo un po’ più giovane di me… ma ci tengo a precisare che si tratta solo di una cena tra amici!” si affrettò a concludere la donna. Sorrise, il vecchio uomo, tra le mani un vecchio giornale e con indosso una vecchia canottiera intima sbrindellata. “Bé, io allora andrei…” disse lei. “Ma certo, vada, vada, non faccia aspettare il suo cavaliere, vada, vada, poi casomai domani mattina mi racconta se tutto è andato bene. D’accordo? Si diverta” concluse il vecchio e, sorridendo ormai dallo spiraglio, prima che la porta si chiudesse, le sorrise. La donna aspettò che la porta si chiudesse e imboccò l’ultima rampa di scale.
…
Da dietro la porta, il signor Marannino sentì il sensuale rumore dei tacchi calpestare i freddi gradini del condominio, il veloce e zoppo camminare lungo l’ingresso,la serratura scattare e il botto potente del portone in ferro battuto che si richiudeva. Nessuno sapeva quanto il signor Marannino fosse invaghito della donna e che non passava un secondo della giornata senza pensare a lei. Era rimasto vedovo all’età di 54 anni ed ora, a quasi 67, non riusciva ancora a darsi pace, non voleva rimanere solo, in quella casa con la carta da parati ormai ingiallita dal tempo, l’odore incessante di cipolla e umido, le lampade così impolverate da attenuare la luce stessa, i divani oramai scomodi, deformati ed impolverati, la televisione muta ma sempre accesa, il letto vuoto e puntualmente rifatto. Quello che veramente desiderava il signor Marannino era un corpo di donna. Voleva possedere una donna.Nonostante la terza età, aveva ancora voglia di eccitarsi, per sentirsi vivo. Era stato più volte denunciato da donne di mezza età, accusato di molestie sessuali in luogo pubblico, al supermercato, al bar, addirittura nei musei. Era stato confinato agli arresti domiciliari, in modo da poter in ogni caso rimanere nella sua intimità e con le sue cose (cose che, tra l’altro, lui detestava). L’unica possibilità che era rimasta al signor Marannino per poter sentire ancora quell’ eccitamento, era mandare delle lettere a donne anziane e sole, spacciandosi per uno spasimante più giovane, temporeggiare un po’ e poi…dare un appuntamento in tarda serata promettendo una cenetta intima e…
…non presentarsi.
Racconto e illustrazione di Adriano Petrucci
Tags: Adriano Petrucci, così io mi esprimo, illustrazioni, trash
This entry was posted on venerdì, febbraio 19th, 2010 at 17:00 and is filed under Senza categoria. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.